Foto: Agire

Guerre, siccità, carestie. Crisi umanitarie senza fine, gli interventi delle Ong

Trecento morti in pochi giorni in Sud Sudan, dove si è riaccesa la guerra civile. In Etiopia El Niño costringe a lottare per la sopravvivenza 12 milioni di persone. E continua il dramma di profughi e migranti, a cominciare dalla Grecia. Dai cambiamenti climatici ai conflitti, ecco come e dove operano le Ong di Agire

Portare soccorso e garantire dignità a quanti vivono sulla propria pelle le più difficili crisi umanitarie in corso. Con i propri operatori umanitari, le Ong di Agire (ActionAid, Amref, Cesvi, Coopi, Gvc, Oxfam, Sos Villaggi dei Bambini, Terre des Hommes e Vis) si trovano nei luoghi spesso dimenticati dai riflettori, dove più è urgente l’intervento di assistenza e protezione per la popolazione civile stremata da povertà e violenze, per i profughi in fuga dalla guerra o per chi soffre la siccità e la carestia provocate dai cambiamenti climatici. Come avviene in Sud Sudan, Etiopia e nei paesi toccati dall’emergenza migranti, tra cui la Grecia.

Sud Sudan - A pochi giorni dall’anniversario dell’indipendenza, il paese africano è ripiombato nella guerra aperta fra fazioni armate per la conquista del potere. Trecento morti e migliaia di persone in fuga da scontri armati, colpi di artiglieria pesante e mezzi blindati che occupano le strade della capitale Juba. Chiusi l’aeroporto e tutti i valichi di confine. Le Ong di Agire presenti nel paese hanno posto sotto strettissime misure di sicurezza il proprio personale, sperando di poter continuare le attività umanitarie.
“È il popolo del Sud Sudan, che sta subendo ancora una volta il peso di questa violenza. Centinaia di persone uccise e migliaia di altre costrette a lasciare le loro case con nient'altro che i vestiti che avevano indosso, in cerca di rifugio improvvisato dove possibile” racconta Zlatko Gegic, Oxfam Country Director in Sud Sudan. “Esortiamo tutte le parti a smettere di combattere ora, rispettare i principi umanitari e garantire l'accesso a quanti nel Sud Sudan sono stati colpiti da questa violenza. E chiediamo alla comunità internazionale, per evitare una ulteriore escalation delle tensioni, di cercare una soluzione politica duratura a questa crisi, come stanno chiedendo in queste ore le Nazioni Unite”.
In Sud Sudan la crisi alimentare causata da El Niño, si somma alle pesanti conseguenze del conflitto tra le fazioni del Movimento per la liberazione del popolo sudanese. Decine di migliaia di persone hanno perso la vita e un SudSudanese su cinque - più di 2,3 milioni di persone – ha dovuto lasciare la propria casa. 4,3 milioni di persone hanno urgente bisogno di aiuti umanitari, numero destinato a crescere nei prossimi mesi. Il più alto livello al mondo di inflazione (vicina al 300 per cento) e il precipitare del prezzo e della produzione di petrolio a causa degli intensi combattimenti, hanno avuto un effetto drammatico su un paese dipendente per il 98% di greggio.
“Le Ong sono impegnate nel sostenere le persone nella sopravvivenza quotidiana e nel migliorare le loro condizioni di vita e di sicurezza” spiega Alessandra Fantuzi, coordinatrice di Agire. “Ma la mancanza di risorse e la disattenzione della comunità internazionale, insieme all’insicurezza, rendono sempre più complicato il loro intervento. Le comunità hanno bisogno di cibo, acqua potabile e assistenza sanitaria, ma dobbiamo anche supportare le persone che vogliono rientrare nei propri villaggi, quando si sentono sicuri di farlo, per coltivare, riprendere ad allevare il bestiame e riavviare le loro attività. Non saremo in grado di fare questo senza il supporto di tutti e la fine delle ostilità”.

Etiopia - E’ forse il paese in cui gli effetti di El Niño sono più forti. Qui si vive la più grave siccità degli ultimi 50 anni. 12 milioni di persone rischiano ogni giorno di morire, perché affamati, senza più acqua, né cibo, o perché affetti da malattie trasmesse attraverso la poca acqua rimasta, spesso contaminata. Quasi 5,5 milioni di bambini, dipendono dagli aiuti alimentari di emergenza, e l’unica speranza, ora, è che i raccolti previsti per novembre possano riportare un livello minimo di sicurezza alimentare. Qua le Ong lavorano ogni giorno a fianco della popolazione più vulnerabile.
"Siamo cercando di riabilitare o costruire nuovi pozzi e canali per portare acqua e salvare delle vite” dice Federico Capurro, capo missione di Coopi in Etiopia. “Ogni giorno vedo con i miei occhi quanto è urgente agire e rispondere a questa emergenza, di cui si parla pochissimo. È una lotta contro il tempo perché la fase peggiore della crisi è prevista in autunno, con il passaggio de La Niña".

Grecia - Anche in Europa è in corso una crisi umanitaria senza precedenti: il flusso migratorio di profughi che attraversa confini e stati sempre meno aperti a rispondere ai bisogni di richiedenti asilo o di chi transita verso altre mete. Famiglie, donne e bambini, anziani e disabili a cui dovrebbero essere garantite condizioni dignitose di vita, spesso ricevono poca o nessuna assistenza. Tutte le Ong lavorano al loro fianco, non solo nei paesi di provenienza ma anche in Grecia, nei Balcani e in Italia.
Nei campi di Kavala e Drama, nel nord est della Grecia, le persone sfollate dal campo di Idomeni alla frontiera chiusa della Macedonia sono state riallocate in attesa dei ricongiungimenti familiari con parenti residenti nel Nord Europa. Quasi 600 persone, il 98% delle quali fuggite dalla Siria, affrontano l’estate vivendo in tende sotto il sole, senza servizi di prima assistenza. Qui l’Ong GVC sta portando kit per l’igiene personale e ambientale e prepara un intervento di accoglienza e integrazione, in collaborazione con la rete di solidarietà della società civile greca, per ospitare in appartamenti le famiglie più fragili con bambini e malati cronici, coinvolgendo la comunità locale in attività di conoscenza e scambio.
“L’Unione Europea deve farsi carico di quanti hanno diritto alla protezione internazionale, qui siamo sotto ogni soglia di dignità umana”. A parlare è Margherita Romanelli, responsabile Gvc in Grecia. “Su 34.000 rifugiati che dovrebbero essere rilocati dalla Grecia nel resto dei paesi europei, solo 4.500 dall’inizio del 2016 sono stati accettati e spostati. Noi stiamo lavorando insieme alla popolazione greca per creare coesione sociale tra rifugiati e cittadini, perché solo così si può costruire l’accoglienza senza conflittualità, in una società già molto provata dalla crisi economica”.

luca calzolari