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L'invasione dei cinghiali: cause e soluzioni

Mentre la popolazione di cinghiali aumenta sempre di più, ragioniamo insieme a Barbara Franzetti dielle cause e delle conseguenze di questa diffusione. E dei possibili metodi di controllo

I cinghiali ormai sono ovunque, non solo in campagna e nei boschi ma anche nelle nostre città. Si calcola che nel 2021 in Italia c’erano un milione e mezzo di cinghiali, e che negli ultimi sette anni abbiano causato circa 120 milioni di euro di danni all’agricoltura. Sulla base di oltre 700 documenti e relazioni tecniche, forniti dalle regioni e dalle aree protette, Ispra ha realizzato per la prima volta in Italia una raccolta di dati quantitativi relativi alla presenza del cinghiale sul territorio nazionale, una presenza che potrebbe diventare problematica. Abbiamo parlato delle ragioni di questa espansione e dei metodi per controllarla con Barbara Franzetti, ricercatrice Ispra.

La selva dei dati
Prima di tutto, i dati sono stati difficili da raccogliere. La mancanza di un sistema omogeneo di raccolta dei dati su scala nazionale, infatti, ha reso necessario un enorme sforzo di armonizzazione delle informazioni trasmesse. A volte addirittura i dati vengono resi disponibili due o tre anni dopo. Alla fine, per la costruzione della banca dati sono state determinanti le informazioni contenute nei “Piani regionali di interventi urgenti per la gestione, il controllo e l'eradicazione della peste suina africana”, elaborati nel 2022 da tutte le Regioni e Province autonome in risposta all’arrivo del virus della peste suina nel nostro paese. La buona notizia comunque è che non c’è pericolo per la nostra salute, perché la peste suina non è una zoonosi né lo sarà. Su questo possiamo stare tranquilli. Ma i cinghiali continuano a essere tantissimi, aumentando anno per anno i danni all’agricoltura e il rischio fisico per le persone.

Perché ci sono così tanti cinghiali?
A destare maggiore attenzione sono sicuramente i danni economici. Dopo Abruzzo e Piemonte, che hanno subito rispettivamente 17 e 18 milioni di euro di danni, le regioni dove l’agricoltura è stata più colpita dalla presenza del cinghiale sono la Toscana, la Campania e il Lazio, con oltre 10 milioni di euro di danni. La Provincia Autonoma di Bolzano è l'unica dove non si rilevano danneggiamenti, ma qui la distribuzione è ancora molto limitata. Le cause di questa estrema diffusione, secondo quanto afferma Barbara Franzetti, ricercatrice Ispra, sono molteplici. E alcune di queste sono strutturali. “Innanzitutto gli inverni più miti e meno nevosi: i cinghiali sono animali tozzi, dalle zampe corte, che scavano, quindi beneficiano dell’assenza di ghiaccio e neve. Poi, aiuta anche la maggior presenza di ghiande nei nostri boschi, anche queste influenzate dai climi miti: molte ricerche segnalano che le annate di pasciona sono più frequenti. Infine, la prossimità dei boschi alle aree urbanizzate, che sono quasi contigui”, spiega Franzetti. Una volta a separare i boschi dalle città c’erano le campagne, ma oggi, con lo spopolamento e il rimboschimento dei campi, abbiamo perso queste aree cuscinetto. In Italia solo negli ultimi tre anni abbiamo acquisito tre milioni e mezzo di ettari di bosco. “Cosicché anche in città come Genova o Roma troviamo i cinghiali direttamente nel centro abitato. In alcuni casi possono vivere liberamente nei parchi, soprattutto perché le persone li abituano a essere nutriti dagli umani”. In quei casi specifici forse servirebbe chiudere i parchi, piazzare dei tornelli, sterilizzare e controllare gli animali all’interno. Ma sarebbe appunto una soluzione specifica a un problema specifico. Per Franzetti l’unico modo per ridurre la diffusione e l’impatto dei cinghiali sono l’abbattimento e il prelievo. E in questo caso non conta la quantità, ma la qualità: perché non serve abbatterne di più, serve abbattere quelli giusti

Metodi di contrasto
Per contrastare la diffusione e l’azione del cinghiale già negli ultimi anni si è registrata una crescita degli abbattimenti o prelievi. Nel periodo 2015-21 i prelievi sono aumentati del 45%, mentre sono stati abbattuti in media circa 300 mila esemplari l’anno (di cui 257.000 in caccia ordinaria e 42.000 in interventi di controllo faunistico). Ma per Franzetti la caccia continuerà ad avere un’efficacia limitata riguardo il contenimento della popolazione di cinghiali, proprio perché si concentra più sulla quantità di animali da abbattere. “Per un abbattimento efficace - dice Franzetti - bisognerebbe colpire femmine gravide e cuccioli, ma i cacciatori non si comportano così, perché la loro intenzione è quella di mantenere alta la popolazione di cinghiali, perché il loro scopo è il divertimento”. E abbattere un maschio non influisce sulla popolazione. Bisognerebbe quindi insistere con altri prelievi mirati, anche perché gli altri metodi di controllo sono inefficaci. Compresa l’introduzione di predatori: “Perché un predatore, un lupo, non è interessato solo al cinghiale, ma a molti altri animali: è interessato ai daini, alle volpi, ai conigli, a molte specie che sono considerate protette”. Un lupo può essere utile quindi, ma non è sufficiente. Anche la sterilizzazione di massa ha un’efficacia limitata, perché o è impossibile da effettuare sugli animali selvatici, nel caso della vasectomia e delle terapie ormonali, oppure, come nel caso dei vaccini immunocontraccettivi, non si dispone ancora delle tecnologie necessarie per renderli abbastanza efficaci per assestare la popolazione.

Alla fine, l'elemento chiave di una strategia di gestione del cinghiale rimane prima di tutto la creazione di un sistema omogeneo di raccolta dei dati su scala nazionale, che integri anche le informazioni relative agli interventi di prevenzione e agli incidenti stradali, e renda possibile monitorare l’andamento della gestione in tempo reale. Solo così, poi, sarà possibile organizzare una risposta efficace.

Giovanni Peparello