(Fonte foto: Fondazione Montagna Sicuro)

Come comunicare la montagna che cambia: l'evento di Fondazione Montagna Sicura

Fondazione Courmayeur Mont Blanc e Fondazione Montagna Sicura organizzano il convegno "Comunicare il cambiamento climatico tra scienza, economia e cultura". Ne abbiamo parlato con Jean Pierre Fosson

Cambia il clima, cambia la montagna: e con essa deve cambiare anche il modo in cui viene concepita, sia nella gestione del rischio che nel modo di intenderla economicamente e culturalmente. Per questo motivo domani lunedì 18 settembre alle ore 14 si terrà il convegno Comunicare il cambiamento climatico tra scienza, economia e cultura, organizzato da Fondazione Montagna Sicura presso la Sala La Verticale di Courmayeur, Skyway Monte Bianco. L’incontro sarà visibile anche in streaming a questo link

Al convegno saranno presenti ospiti d’eccezione, come Titti Postiglione, vice Capo del Dipartimento nazionale della Protezione Civile, Annibale Salsa, antropologo, già presidente del Club Alpino Italiano, presidente del Comitato scientifico di Trentino School of Management, membro del Consiglio dell'Università della Valle d'Aosta, Nicolas Lozito, Nicolas Lozito, giornalista e blogger di La Stampa. L’idea alla base di questo incontro clou è proprio quella di capire come sta cambiando la montagna e, contemporaneamente, anche come dovrà cambiare la sua comunicazione. Ne abbiamo parlato con Jean Pierre Fosson, Segretario generale della Fondazione Montagna Sicura.

Da dove nasce l’idea di questo convegno, proprio con questi ospiti?
Questo programma è nato da un’esperienza che avevo visto nel mese di gennaio al Museo delle Scienze di Milano, in occasione del quarantennale del Servizio glaciologico lombardo. Avevano introdotto una tavola rotonda che spaziava sui temi più ampi, ma che era legata a come comunicare le variazioni e le mutazioni della montagna. Noi come Fondazione comunichiamo molto sui social, cerchiamo dei canali innovativi, con l’obiettivo di arrivare al cittadino, ai giovani e ai turisti, per comunicare le variazioni della montagna. Per questo motivo c’è bisogno di cambiare gli schemi comunicativi, arrivando anche ad altri messaggi, partendo da una lettura diversa dell’evento.

In che modo pensa che si potrebbero cambiare gli schemi comunicativi?
Di recente ho letto sulla stampa che un italiano su tre è incerto sull’informazione che viene data sul cambiamento climatico, e questo è un dato che ci spaventa. Forse perché dipende anche da una certa politicizzazione del messaggio, quando invece la scienza deve arrivare con una prospettiva unitaria. La nostra idea è stata quella di declinare questi argomenti attraverso diversi approcci, coinvolgendo il comunicatore, il blogger, l’economista, lo scienziato, l’antropologo, la responsabile di protezione civile, il medico, chiedendo loro diverse chiavi di lettura. Per esempio l’antropologo Annibale Salsa ci darà una sua contestualizzazione del messaggio, descrivendo in che modo una lettura antropologica del fenomeno ci può aiutare a fare determinate riflessioni. Questo è un po’ tutto l’insieme, sul quale la Regione Valle d’Aosta e il Comune di Courmayeur hanno creduto molto. Con Fondazione Courmayeur, con cui collaboriamo sempre, abbiamo deciso di fare questo evento clou proprio sul Monte Bianco, che sta soffrendo molto anche durante questa estate per i suoi ghiacciai. Abbiamo quindi voluto mettere insieme queste persone per provare a dare una lettura nuova. Alla fine del convegno ci saranno le conclusioni, che saranno portate da un esperto regionale, un dirigente con molta esperienza e molta praticità che dovrà tradurre questi input in linee operative. E forse questo sarà il compito più difficile, perché pur avendo diversi esperti che ci daranno la loro lettura, noi viviamo quotidianamente di questo.

A chi si rivolge in particolare il convegno?
Questo convegno è anche in streaming, ma lo abbiamo riservato in sala a due target principali, che sarebbero i nostri stakeholder maggiori per questo evento: uno dei gruppi è composto dai sindaci, che sono sempre in prima linea a gestire questo territorio con pochi strumenti. Ci farà quindi piacere avere una trentina di sindaci valdostani su settanta Comuni. Il secondo gruppo di stakeholder è rappresentato dai giornalisti, perché la loro narrazione spesso apre a messaggi talvolta improvvisati, nel senso che raccolgono il messaggio da chiunque trovano, se non hanno una fonte autorevole. Altre volte tendono a dare messaggi un po’ catastrofisti. Quindi il lavoro da fare con i giornalisti è volto ad arrivare a lavorare insieme, portando avanti un discorso per cui è importante dare l’esatto nome e collocamento a un evento che coinvolge il territorio. Teniamo conto che noi siamo gestionali di situazioni di rischio, e che quindi il nostro interesse è avere delle risposte che ci permettano di condividere questo messaggio di gestione più serenamente con gli utenti valdostani.

Cosa si aspetta da questo convegno?
Io ho l’esigenza di arrivare a capire quali strumenti nuovi ci possono aiutare per rivedere la strategia di comunicazione. Sicuramente un messaggio più targettizzato può funzionare. E sicuramente, per me che faccio il bollettino valanghe, sapere che una persona su tre potrebbe non credere a questo strumento è un dato importante. Devo arrivare quindi ad avere ulteriori strumenti, che ci aiutino a essere più seguiti e apprezzati. Ora, io non credo che siano proprio i bollettini a dover essere chiamati in causa, ma credo che bisogna considerare le informazioni generali sugli effetti e le cause del cambiamento climatico, la componente umana, l’anidride carbonica. E dobbiamo essere in ogni caso molto prudenti, perché il messaggio di protezione civile deve provenire sempre da una fonte autorevole, e deve essere, come nel nostro caso, recepito come tale dalla popolazione. Questa è la mia speranza: avere nuovi strumenti di lettura. In realtà non credo che sia giusto addossare questa responsabilità ai giovani, anche perché spesso sono i più adulti a essere inclini a teorie non scientifiche, ma bisogna continuamente studiare la comunicazione per coinvolgerli nei canali giusti.

Durante l’estate era stato diramato un appello da parte di alcuni scienziati italiani che chiedeva ai media di migliorare il modo in cui si parla della crisi climatica, citando non soltanto gli effetti ma anche le cause. 
È proprio questo il problema chiave, perché l’informazione scientifica deve essere una sola. Poi l’informazione politica ognuno la può declinare diversamente, ma l’informazione scientifica deve essere univoca, altrimenti ci ritroviamo con un’utenza finale confusa. Pensiamo solo al danno che è stato fatto con quell’articolo che era stato prima presentato e poi ritirato da una rivista scientifica.

Nel corso degli ultimi anni della sua attività ha già notato un cambiamento nell’ambiente?
Noi ci occupiamo di valanghe e di ghiacciai, quindi siamo in presenza di un malato cronico. I cambiamenti sono già in corso, ma la chiave di lettura deve semplicemente essere una: la chiave dell’adattamento, della resilienza e della corretta informazione, arrivando a livelli alti di accessibilità. Per esempio nel rischio valanghivo abbiamo già questi strumenti, ma ci sono voluti anni di investimenti e di politiche, che hanno fatto arrivare un determinato messaggio. Secondo me la strada è quella. Il cambiamento non è una proiezione futura: il cambiamento è oggi, nei nostri ghiacciai, negli eventi estremi, nella fragilità territorio che sta soffrendo molto. A Courmayeur abbiamo ancora oggi delle temperature che non sono tipiche del mese di settembre, eppure bisogna uscire da determinate letture catastrofiste, per dare una nuova chiave di adattamento, per una montagna che dovrà essere comunque abitata. 

Faccio un esempio operativo: in questi giorni noi accogliamo qui presso la nostra sede il corso di formazione delle guide alpine valdostane, il primo del suo genere, un modulo di quattro giorni sull’adattamento della professione delle condizioni differenti della montagna. E questa per me è un’azione esemplare, perché vuol dire lavorare direttamente con i professionisti e per i professionisti, facendoli diventare dei vettori del cambiamento e dell’adattamento, cambiando determinate pratiche della loro attività. Dentro il cambiamento climatico ci sono anche tantissime opportunità che possono essere accolte. Si tratta di mettere a regime questo tipo di ragionamento, cogliendo i fattori positivi che la montagna questa ci presenta. La montagna per esempio può essere un fattore di attrattività per le persone anziane che scappano dal caldo atroce dei mesi estivi: ci sono possibilità che vanno lette e studiate attentamente. Noi in Val d'Aosta abbiamo una strategia di adattamento al cambiamento climatico che determina tutta una serie di azioni che devono essere portate avanti, e che possono essere un punto di riferimento per uno sviluppo sostenibile e un adattamento armonico negli anni a venire. Il convegno del 18 settembre si inserisce proprio in questo discorso. Noi siamo coloro che subiscono questo cambiamento: per questo motivo dobbiamo essere anche i promotori dell'adattamento.

Giovanni Peparello