La proposta di testo della Cop29

Rimangono ancora in sospeso le questioni più controverse: a quanto ammonterà il nuovo obiettivo; chi dovrà pagarlo; come dovrà pagarlo

È un fallimento grigio quello della Cop29 a Baku, che si avvia mestamente alla fine. Finora la bozza di testo sulla finanza climatica non contiene una cifra precisa, solo la parola “trillions”, migliaia di miliardi. Un obiettivo ambizioso ma ancora generico. Fondi comunque superiori ai 100 miliardi l’anno di finanziamenti dai Paesi più ricchi a quelli in via di sviluppo per affrontare la crisi climatica. A rimanere in sospeso sono dunque le questioni più controverse: l’ammontare del nuovo obiettivo, chi paga e quale dovrebbe essere la struttura del finanziamento.
 
Le due opzioni in ballo
Oggi la partita si giocherà su due opzioni diverse. La prima opzione, preferita dai Paesi in via di sviluppo, garantisce loro “sovvenzioni o equivalenti”, finanziamenti “che non portino debito e adeguati”, secondo la richiesta avanzata in questi giorni di negoziato dagli stessi Paesi in via di sviluppo, con un obiettivo intermedio al 2025 e uno finale al 2035. La seconda opzione prevede “tutte le fonti di finanziamento”, con obiettivo al 2035. Quello che è certo è che per salvare il clima dalla crisi non basterà incrociare le dita e sperare che tutto vada bene. C’è bisogno di ambizione, cooperazione, di risorse internazionali e contesti politici e normativi ad hoc, che aiutino la mitigazione e l’adattamento in tutti i Paesi. In parole povere: non è semplice, e bisogna volerlo fare.

La Ue ha perso autorità
Segno del mesto fallimento della Cop è anche la perdita di potere dell’Unione europea, a cui nelle precedenti Conferenze veniva riconosciuta una leadership anche da parte degli altri Paesi. Forse complice la vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti, contrario alle politiche più forti sul clima, anche in Europa si cominciano a registrare dei venti che spirano “in direzione opposta a quella della Cop e della lotta ai cambiamenti climatici”, scrive Luisiana Gaita su Il Fatto Quotidiano

L’ago della bilancia si è spostato
“Nella discussione sulle cifre chieste dai Paesi in via di sviluppo (si va dai 400 miliardi ai 2 trilioni di dollari all’anno, inclusa la finanza privata) e la posizione degli Stati Uniti (ferma al tetto dei 100 miliardi di dollari) praticamente uguale a quello stabilito nel 2009, ma raggiunto solo nel 2022, ad un certo punto è arrivata la proposta di 200-300 miliardi di dollari all’anno, di sola finanza pubblica”, scrive Gaita. “Un ipotetico fondo molto più vicino alla proposta Usa che alle esigenze effettive dei Paesi in via di sviluppo, ipotizzato a quanto pare proprio dai negoziatori europei. ‘È uno scherzo?’ hanno commentato i rappresentanti di Africa, America Latina e Asia”. L’Unione Europea si è anche opposta alla possibilità di includere dei sotto-obiettivi per l’adattamento e i fondi da destinare alle perdite e ai danni dovuti agli effetti dei cambiamenti climatici. A pesare è anche la politica interna della stessa Ue, indipendentemente dagli accordi per la Cop. Perché nel frattempo si accumulano ritardi sul Green Deal, sulla legge sulla deforestazione, con continui sabotaggi della Nature Restoration Law  – che sembravano cosa fatta, ma continuano a essere rimandati, emendati, annacquati. Con questo biglietto da visita, la Ue non può avere né una posizione di traino, né una posizione di mediazione, non riuscendo nemmeno più a operare una sintesi costruttiva tra le spinte opposte.

Giovanni Peparello