Riordinare la ProCiv,
ma si conservi l'efficienza

Il professor Giorgio Lollino, già Responsabile dell’IRPI - U.O.S. di Torino, è responsabile dell’Area di Ricerca CNR di Torino. E' stato anche presidente della Sezione italiana dell'IAEG (International Association of Engeneering Geology). A Protec parlerà (1 luglio, ore 14) di dissesto idrogeologico, argomento che studia da oltre 30 anni. L'intervista


Partiamo dalla definizione: cos'è il rischio idrogeologico e quali fenomeni geologici comprende?
"Il rischio idrogeologico riguarda tutti quei processi naturali connessi alle dinamiche di versante e dei corsi d'acqua che possono costituire una minaccia per essere umani ed infrastrutture. In particolare, il concetto di rischio è definito dal prodotto della pericolosità, ovvero la probabilità che un determinato fenomeno avvenga in un determinato luogo ed in un determinato intervallo di tempo e la vulnerabilità, ovvero l'entità del danno che potrebbe essere prodotto da qual determinato fenomeno su infrastrutture o centri abitati. Tipicamente, i fenomeni più frequenti sul territorio italiano sono le frane, le alluvioni e le colate detritiche, ai quali va anche affiancato il rischio legato alle acque sotterranee, tutti temi che saranno trattati specificatamente nell'apposita sessione di Protec da esperti dei vari settori".


Secondo l'Associazione dei geologi, 6 milioni di italiani vivono in luoghi a rischio...

"Il dissesto idrogeologico in Italia è un tema molto complesso anche a causa della sua diffusione sul territorio. Il particolare assetto geologico strutturale del Paese costituisce un fattore predisponente importante per l'attivazione di tutta una serie di fenomeni che interessano sia i versanti che i corsi d'acqua. Inoltre, una politica che spesso non predilige le attività di manutenzione e prevenzione chiaramente non aiuta".


Malgrado ci sia un rischio così rilevante dal punto di vista statistico, è appena qualche anno che l'espressione è entrata nel lessico comune...
"In realtà il concetto di dissesto idrogeologico è stato definito la prima volta dalla Commissione De Marchi nel 1970; quello che forse è mutato è l'approccio della popolazione alle molte catastrofi legate ai fenomeni di dissesto idrogeologico che purtroppo hanno colpito il nostro Paese. L'opinione pubblica oggi non tollera più, giustamente, che, in uno stato moderno quale il nostro, possano accadere delle sciagure legate a problematiche che talora, con una buona pianificazione e gestione del territorio, potrebbero essere evitate".


Esistono regioni più esposte di altre? Quali sono le principali modalità di mitigazione del rischio?
"Esistono diversi progetti di studio di portata nazionale (come il Progetto AVI e il Progetto IFFI) che hanno evidenziato una diffusione dei fenomeni di dissesto su tutto il territorio nazionale. Effettivamente ci sono aree che hanno una maggior propensione al dissesto di altre; tipicamente, però, ogni territorio è caratterizzato da diverse tipologie di dissesto che sono legate ad una complessa interazione tra clima, orografia e assetto geologico strutturale. Molto lavoro nel campo dello studio dei fenomeni pregressi e della vulnerabilità del territori è stato svolto, attualmente gli sforzi si stanno concentrando sulle attività di pianificazione territoriale e sul monitoraggio dei fenomeni attivi attraverso l'impiego di sistemi tecnologicamente avanzati. In questo ambito, l'IRPI di Torino è attiva sia nel campo della ricerca che del supporto agli Enti pubblici di gestione del territorio attraverso le attività del Gruppo di GeoMonitoraggio".


Attualmente i fondi della Protezione civile - anche quelli per le emergenze - sono soggetti al ministero dell'Economia: questa prassi non rischia di rendere più difficili gli investimenti nella prevenzione, o quantomeno subordinarli a logiche economiche e politiche?
"In un periodo di ristrettezze economiche come quello attuale si è ritenuto politicamente necessario un riordino anche delle modalità di gestione finanziaria delle attività di protezione civile. Questo comporta dei vincoli più forti alle attività svolte in deroga alle normali procedure amministrative e potrebbe quindi risultare più difficoltosa l'azione di previsione e prevenzione, concentrando tutte le attività sulla gestione delle emergenze. È dunque auspicabile che tale riorganizzazione non costituisca un vincolo penalizzante nei confronti di una struttura che ha dimostrato un elevato grado di efficienza e professionalità".


GZ