Solfatara dei Campi Flegrei (foto: Roberto Scandone)

Scoperto uno "strato debole" nella crosta terrestre sotto i Campi Flegrei

I ricercatori dell’INGV hanno individuato un indebolimento degli strati crostali a quasi 3 km di profondità, che potrebbe spiegare il fenomeno del bradisismo

Uno “strato debole” ubicato a una profondità compresa tra i 3 e i 4 chilometri che potrebbe spiegare fenomeni come il sollevamento del suolo e l’attività sismica dell’area flegrea.
Questo quanto identificato nella crosta terrestre sotto la caldera dei Campi Flegrei da un recente studio dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), pubblicato sulla rivista scientifica AGU Advances.

Analisi su rocce estratte a 3 km di profondità
I ricercatori hanno effettuato analisi approfondite di campioni rocciosi estratti da un pozzo geotermico profondo circa 3 km e hanno utilizzato tecniche avanzate di laboratorio e immagini tridimensionali ad alta risoluzione del sottosuolo fino a 4 km per "osservare" cosa accade sotto i nostri piedi.

Aumenta il volume e la pressione dei fluidi “intrappolati”
“Abbiamo individuato un'importante transizione a circa di 2,5–2,7 km di profondità, dove si osserva un indebolimento degli strati crostali. Al di sotto di questa soglia, la crosta appare più porosa e permeabile del previsto, e quindi meno resistente, favorendo l’accumulo di fluidi magmatici”, spiega Lucia Pappalardo, ricercatrice INGV e coautrice dello studio. “Questi fluidi, intrappolati, aumentano progressivamente in volume e pressione, innescando deformazioni del suolo e attività sismica”.

Un’area sempre più debole
“Le simulazioni numeriche hanno mostrato che nelle passate epoche eruttive, numerose piccole intrusioni di magma si sono arrestate proprio in questa zona, alla transizione tra le rocce carbonatiche profonde e i tufi vulcanici più superficiali, contribuendo a renderla via via più debole”, aggiunge Francesco Maccaferri, ricercatore INGV e co-autore dello studio.
“Questo strato indebolito non soltanto funge da trappola per i fluidi magmatici profondi, ma potrebbe condizionare anche una eventuale futura risalita di magma”, precisa Gianmarco Buono, ricercatore INGV e coautore dello studio.

Le modifiche al percorso del magma
Nel caso di piccoli volumi di magma, questi tendono a deviare il proprio percorso e ad arrestarsi in prossimità del contatto tra un substrato rigido, probabilmente calcareo, ed i tufi sovrastanti, raffreddandosi prima di raggiungere la superficie in quello che viene definito un processo di eruzione abortita. Tuttavia, se l'accumulo di magma avviene piu rapidamente, potrebbe non avere il tempo di raffreddarsi e, dopo una fase di stasi a 3-4 km di profondità, riprendere la sua risalita, come osservato nell’ultima eruzione dei Campi Flegrei del 1538, che portò alla formazione del Monte Nuovo.
Questo studio, però, non esclude che, in caso di risalita di volumi maggiori di magma dal serbatoio profondo (posto a circa 7-8 km di profondità), il magma possa raggiungere direttamente la superficie, senza attraversare una fase di stasi nello strato crostale indebolito. Un meccanismo, quest'ultimo, che potrebbe aver caratterizzato alcune eruzioni di epoche passate.

Nessuna influenza sulle previsioni a breve termine
“Questa ricerca non influenza direttamente le nostre previsioni a breve termine, ma è un tassello fondamentale per comprendere il comportamento del vulcano e migliorare la nostra capacità di monitorarlo”, sottolinea Mauro Antonio Di Vito, Direttore dell’Osservatorio Vesuviano (INGV-OV). “Solo con una conoscenza sempre più dettagliata del sistema vulcanico e della sua dinamica possiamo sperare di anticipare segnali critici e ridurre i rischi per le persone”.

Lo studio, condotto nell’ambito del progetto LOVE CF finanziato dall’INGV,  nasce da una collaborazione tra INGV, Università di Grenoble Alpes e Università di Bologna. 
L’articolo è stato scelto per essere pubblicizzato su EOS.org, un riconoscimento per l’importante contenuto scientifico della pubblicazione.

Red/la
Fonte: INGV