Fonte Ogs

Trattato Onu per l'Alto Mare, quali novità introduce?

La firma dell'accordo è stata accolta con clamore e gioia dai delegati delle Nazioni Unite. Solidoro, Ugs: “Si è aperta una nuova era”

Domenica sera, alle 3:30 ora italiana, gli Stati membri delle Nazioni Unite hanno firmato un accordo, dopo anni di negoziati, per proteggere l'Alto mare. "La nave ha raggiunto la riva", ha annunciato il presidente della conferenza Rena Lee presso la sede delle Nazioni Unite a New York in mezzo agli applausi dei delegati. Ma perché questo accordo è così importante? Quali sono le novità introdotte dal trattato? Quali gli sviluppi futuri? Lo abbiamo chiesto a Cosimo Solidoro, direttore della stazione di oceanografia dell'Ogs, l'Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale.

“Il trattato di ieri ha una valenza importante sostanzialmente perché va a definire un contesto di giurisdizione nazionale e internazionale. Noi sappiamo che il mare è una risorsa importantissima che va preservata tanto di più ora visto che negli ultimi anni c'è stato un aumento esponenziale dell'utilizzo delle risorse marine. Da qui deriva la necessità di essere attenti, oculati, nello sfruttamento di queste risorse” questo il commento di Cosimo Solidoro alla notizia della firma dell'accordo delle Nazioni Unite di questa notte. 

Ma che cos'è l'Alto Mare di cui parla il trattato?
Sulla zona costiera fino a 3 miglia le acque sono nazionali e dunque è il Paese che ha l'onere di implementare tutte le leggi. Esiste poi la zona di interesse economico esclusivo (ZEE) che è definita in maniera non sempre precisa che può arrivare nella sua versione più estesa a 200 miglia dalla zona di costa, laddove non ci siano conflitti di giurisdizione (Es. tra Italia e Croazia, non ci sono 200 miglia, in questo caso si fa una linea di mezzaria). Oltre questa zona di fascia costiera siamo nel così detto Alto Mare, che è una zona fuori dalle giurisdizioni nazionali. L'Alto mare, o mare aperto, è dunque la zona non costiera, un mare di tutti, dove tutti possono andare a pescare e fare ricerche e tutti possono navigare e in qualche misura anche sfruttarlo. Una zona che nessuno aveva il potere di regolamentare come se fosse sua, perchè di fatto c'era un vuoto legislativo. 

Cosa cambia con il nuovo trattato?
Prima dell'accordo sul Mare Aperto se l'Unione Europea voleva dire facciamo una grande area marina protetta in cui nessuno può andare a pescare, nessuno può estrarre petrolio, non aveva il contesto legislativo per poterlo fare perché non era suo. Adesso questo trattato definisce il contesto e quindi dà la possibilità agli Stati Membri, laddove volessero farlo, di avere un quadro normativo per implementare alcune azioni. L'esempio che si è fatto è l'obiettivo 30/30, che le Nazioni Unite si erano date un po' di mesi fa, cioè la protezione del 30% dei mari entro il 2030. Ovvero l'istituzione di aree marine protette sul 30% dei mari. E siccome l'Alto Mare copre circa i 2/3 dell'Oceano, ecco che raggiungere il 30% delle aree marine protette significava per forza di cose introdurre aree marine protette anche in questa terra di tutti e di nessuno. Sarebbe stato difficilissimo arrivarci senza il trattato appena firmato. 

Che altre possibilità hanno gli stati dell'Onu grazie a questo trattato?
Qualunque altro obiettivo che preveda di poter intervenire su questo Alto Mare richiede un quadro legislativo come quello instaurato dal trattato. Ad esempio prendiamo il Deep Sea Mining, l'attività di estrazione dei minerali dal fondo dell'Oceano. Fino ad oggi questa attività era di difficilissima regolamentazione perché nessuno aveva il potere di definire questa legislazione, adesso con questo accordo quadro, questo tavolo permanente, che ha definito delle modalità per cui gli Stati possono mettersi d'accordo per darsi delle regole che vincolino tutti quanti, sarà possibile.

Quindi si avrà un controllo legislativo maggiore sulla zona dell'Alto Mare?
Il trattato non dà un controllo maggiore ma la possibilità di esercitarlo. Prima la possibilità era negata. Tecnicamente non si sapeva come fare. Adesso si definisce un meccanismo di governo sovranazionale che costituisce la scatola dove si possono prendere le decisioni. Ad esempio, riprendendo l'attività del Deep Sea Mining, uno stato potrebbe, con questo trattato, decidere di regolamentarla per esempio decidere che l'estrazione dai fondali di questi materiali deve essere fatto con alcuni macchinari piuttosto che altre, in aree delimitate ad un certo tipo di estensione, non più di 10 km quadrati ogni 100, oppure non più a nord di una certa latitudine. O ancora potrebbe dire: si può fare però solo con concessioni governative e vincolando che il 20% di profitto sia investito in difesa dell'ecosistema marino. Prima eravamo nella situazione in cui quegli spazi sono terra di nessuno e qualunque privato o multinazionale può andare e fare più o meno quello che vuole. Adesso invece si decide che la giurisdizione è in mano alle Nazioni Unite, che c'è un organismo di controllo che verrà definito, ci saranno dei meccanismi di compensazione, perché magari alcuni Paesi avranno la capacità di sfruttare di più le risorse in queste zone di altri, Paesi che però decideranno di dare un compenso a quelli meno ricchi e meno tecnologicamente evoluti. 

Si è aperta una nuova era con questo trattato?
Sì perché si è deciso che anche la zona che non è sotto il controllo delle singole nazioni, ma sotto quello di tutti, deve essere gestita in maniera regolamentata, cioè non è più a libero accesso, tipo Far West dove chi arriva prima si prende tutto, ma è gestita da un organismo sovranazionale che fa riferimento a questo grande trattato. Come dire: sfruttiamo questo mare ma con una serie di vincoli stabiliti da una comunità sovranazionale. 

Come è stata accolta la novità dagli ambientalisti?
Secondo alcuni di loro si tratta di una “vittoria dimezzata” perché anche al fine di raggiungere un accordo si sono fatte salve alcune realtà già esistenti come gli organismi sovranazionali che vanno a regolamentare la pesca che non dovranno necessariamente adeguarsi ai nuovi trattati che verranno firmati. Ad esempio la Common Fisheries Policy (CFP), la policy comunitaria della pesca. Di fatto è stato fatto un compromesso preservando queste realtà pur di arrivare alla firma di un accordo. 

Claudia Balbi