Elena Rapisardi

Web 2.0 e resilienza:
prepararsi in 'tempo di pace'

Presentato oggi a PROTEC 2011 il progetto 'OPEN FORESTE ITALIANE' crowdsourcing per l'antincendio boschivo.
Ne p
arliamo con la Dott.ssa Elena Rapisardi, web content strategist, ideatrice del progetto, che ha illustrato  la sua visione della gestione condivisa delle informazioni georeferenziate e delle potenzialità del web 2.0 in emergenza

Partiamo da Lei, dalla Sua figura professionale e della Sua attività di volontario di protezione civile e di come questi due aspetti della Sua vita si siano fusi, dando vita a progetti per la gestione dell'emergenza ed in particolare al progetto 'OPEN FORESTE ITALIANE':
"Per professione mi occupo di contenuti per il web. In altre parole: definisco e realizzo strategie e progetti di comunicazione per rappresentare contenuti per il web o in altri formati digitali. Sembra un discorso semplice ma in realtà i contenuti sono ciò che crea un interesse nelle persone: se ho una comunicazione vuota, posso attrarre solo per un tempo molto limitato, in più quando non c'è contenuto, non si sedimenta nulla né una nuova consapevolezza, né un vero sapere.
Da diversi anni quindi seguo il web e di tutte le sue evoluzioni.
Oggi si parla molto di web 2.0 (che si chiamava solo «web» fino al 2003 quando Tim O'Reilly lancia la parola «web 2.0»), ma in realtà, o in parole povere, cosa significa Web 2.0 ? Innanzitutto il web si é trasformato in una piattaforma (pensiamo a you-tube, flickr, per citare quelli più noti) ossia il web mette a disposizione degli strumenti che permettono di veicolare dei contenuti. Quindi di fatto non si parla più di singolo sito ma di piattaforme di condivisione di contenuti per il cosiddetto 'content sharing'.Ma il web 2.0 rappresenta una rivoluzione importantissima nel panorama della comunicazione perché porta con sé alcuni principi che sono quelli della collaborazione, della condivisione, dello scambio e dell'inclusione di ciò che è diverso.
Immaginiamo di vedere il web da molto lontano, come se guardassimo una galassia in cui tutti i pianeti che ne fanno parte entrano in relazione tra loro, in questa galassia come nel web, esistiamo proprio perché esiste questa inter-relazione. Da qui arrivare ai social network è quasi naturale".


Condivisione di contenuti, di opinioni, di dati, dialogo e interrelazioni, giornalismo collaborativo, ecc, panorama assolutamente nuovo e    stimolante per le opportunità e le applicazione che offre ?
"Sì, si tratta indubbiamente una rivoluzione (si pensi appunto al citizen journalism), che certo presenta anche aspetti negativi o «temibili», poiché sulla rete posso trovare di tutto, però se noi pensiamo alla potenzialità come strumento di interconnessione e di comunicazione ne vediamo l' aspetto rivoluzionario. Forse non ce ne rendiamo conto, ma la nostra quotidianità sta cambiando e siamo forse dentro questa rivoluzione senza consapevolezza vera.
Per 6 anni della mia vita mi sono occupata di progetti web legati alla protezione civile mettendo insieme due concetti molto semplici. Se io parlo di emergenza, o meglio ancora, di resilienza, mi riferisco ad un sistema nel quale vengono coinvolti diversi attori, e non da ultimi i cittadini, che sono quelli indubbiamente più direttamente coinvolti in caso di emergenza. Quando parlo di web 2.0 mi riferisco a un network, a delle comunità di persone che, nella migliore delle ipotesi, collaborano e scambiano attivamente per produrre conoscenza, esperienza e idee.
Secondo me non c è molta differenza fra le due cose.
Quando ho lavorato come volontaria in Abruzzo, svolgendo le attività come tutti gli altri volontari, avendo quest'attenzione alle problematiche legate alla comunicazione e alla gestione delle informazioni ho visto quanto fosse necessario condividere e attivare canali di comunicazione. E' stato nel corso di quell'importantissima esperienza che ho cominciato a riflettere come il web 2.0 potesse essere di supporto nella gestione delle informazioni in emergenza.
Devo essere sincera, questa idea però non é una mia «genialata», quello che ho semplicemente fatto è stato entrare nella rete e cercare, con un po' di cura e intelligenza, e la rete, che è molto generosa, mi ha fatto conoscere communities, persone, organizzazioni, ONG straniere, che stavano facendo esattamente la mia stessa riflessione. Quindi sono entrata in questo flusso, nello stream, esprimendo un bisogno che potevo condividere con moltissime altre persone, soprattutto non italiane. Sì questo è l'unico aspetto negativo di questa esperienza.
Il web è uno straordinario canale di comunicazione, e di scambio e grazie a queste sue caratteristiche, semplicemente scrivendo e «conversando» ho avuto l'opportunità presentare le mie riflessioni e le mie idee al WEB 2 EXPO di New York nel 2009 dove ho cominciato a parlare di 'Protezione Civile 2.0'
Ho raccontato dei progetti che avevo realizzato, non da sola, ma insieme ad altre persone, per il Formez e per Ispro, dove c'era già un'attenzione al coinvolgimento degli utenti ampio, e di come questo significasse mettersi in gioco e mettere in gioco l'istituzione o l'organizzazione che decideva di costruire la propria presenza su web con questo approccio. Negli ultimi due anni, il panorama si è incredibilmente animato, tanto da non riuscire più a seguire giornalmente tutto quello che viene pubblicato, o discusso, mi riferisco primariamente al livello internazionale dove c'è una c'è una grandissima attenzione per il web a supporto dell'emergenza".


Web in crescita, panorama nazionale ed internazionale aperto ed interessato, gioco fatto allora?
"Non proprio, non sempre, non tutto è così semplice: all'atto della messa in pratica delle mie idee, mi sono resa conto di quali fossero i punti di rottura, le criticità perché non esistono modelli predefiniti e pre-codificati che si possano applicare a tutto: esistono normative, attori da coinvolgere e soprattutto a seconda del territorio in cui ci si trova, occorre relazionarsi in un modo piuttosto che un altro. E soprattutto esistono degli scogli «culturali» da superare, quelli più resistenti, oserei dire.
Proprio considerando le rigidità e i vincoli, ho avuto l'idea di fare un progetto sperimentale che avesse come obiettivo la raccolta di informazioni a supporto dell'antincendio boschivo. 'Open Foreste Italiane' in realtà é un piccolissimo progetto sperimentale, direi quasi 'un progetto dimostrativo', una «demo» per dimostrare che è possibile ragionare in un modo diverso nella raccolta e nell'utilizzo delle informazioni.
Lo strumento che ho utilizzato per il progetto Open Foreste Italiane è la piattaforma Ushahidi (in lingua swahili significa «testimone»): Ushahidi è una ong che si occupa di sviluppare software a supporto delle crisi umanitarie e delle emergenze e mette a disposizione gratuitamente la sua piattaforma operativa, c'è anche da non molto tempo una versione cloud [www.crowdmap.com].
Open Foreste Italiane si può considerare una storia del web 2.0 nel vero senso della parola. Venni a conoscenza di questa piattaforma quando ero a New York, poi sono andata sul web, mi sono informata su cosa fosse possibile fare con questa piattaforma, mi sono messa in contatto direttamente con Ushahidi che mi ha dato risposte e istruzioni. Avevo quindi a disposizione una piattaforma che consente a un qualsiasi utente di inviare informazioni e segnalazioni geo-referenziate, via web, smart-phone e cellulare, di associare a queste informazioni una descrizione ed una categoria definita dall'amministratore della piattaforma. Avevo tra le mani uno strumento molto potente. A quel punto si trattava di trovare le informazioni da mettere in questa piattaforma e... cominciare a lavorare! Questo è stato forse il punto più difficile perché lavoravo in una sorta di volontarismo solitario ed in modo assolutamente sperimentale; forse sforzandomi avrei potuto ad esempio contattare qualche struttura di protezione civile o altro, ma la mia voglia di fare, mia peculiare irrinunciabile caratteristica, mi ha portato a dire: Bene, lo faccio! Come dice Yoda "Fare o non fare. Non esiste provare".
Ushahidi, mi mise a disposizione un'installazione dedicata, per Open Foreste Italiane, e intanto cominciai a cercare una "fonte" di dati, che fosse valida e disponibile. Andai su facebook, cercando fra tutti i gruppi che si occupavano di antincendio boschivo, quello che avesse una vocazione di monitoraggio e voglia di sperimentare cose nuove. Trovai il gruppo "Tutti gli operatori forestali e antincendio boschivo" creato da Giovanni Lotto, che scoprii dopo lavorare come operaio forestale in Sardegna. Lo contattai e dopo averlo rassicurato sulla mia identità e illustrato la mia idea, sempre e tutto via web, decise di aiutarmi mettendo a disposizione le informazioni che lui aveva, e coinvolgendo altri colleghi della sua community. Quindi Open Foreste Italiane così come viene visto adesso on-line, è il frutto di questo lavoro fra me, il team di Ushahidi e Giovanni Lotto, cioè di soggetti che non si sono mai visti né incontrati di persona".


Quindi ora che la sperimentazione del progetto Open Foreste Italiane è partita, il singolo cittadino o volontario che abbia qualcosa da segnalare in materia di antincendio va sul sito e, seguendo le categorie indicate, inserisce la propria segnalazione, giusto?
"Sì, Open Foreste Italiane in teoria dovrebbe lavorare così: quando qualcuno fa una segnalazione questa viene vista dall'amministratore del sistema, che può decidere se pubblicarla direttamente o se è da verificare. Il fatto che con Ushahidi io possa gestire un processo di verifica, è molto importante, perché sappiamo bene che potremmo ricevere segnalazioni finte o fuorvianti. Forse non si sa, ma le VTCs [Volunteers Techonological Communities] sono molto sensibili a questa problematica, non siamo degli sprovveduti. Tornando a Open Foreste, proprio per via del fatto che fosse un progetto sperimentale, dovevo mettere la massima attenzione proprio all'aspetto della verifica, e in questo Giovanni Lotto e Alberto Cadeo (che si ha collaborato con noi), che operano sul campo, sono stati preziosissimi. Vorrei dire che senza Giovanni Lotto questo progetto non ci sarebbe mai stato.
Ushahidi è quindi uno strumento che si basa sul principio del crowdsourcing ossia della possibilità che gli utenti [la «folla»] diventi fonte della notizia. La voce della massa che usa un canale di comunicazione per condividere informazione, un canale che dà voce alle persone. Questo è un concetto molto importante e che sta facendo discutere, perché nel momento in cui la voce della massa ha un suo canale, deve essere da un lato ascoltata e dall'altro chi sta è dall'altra parte e ne raccoglie la voce, deve saper iniziare un dialogo. Bisogna iniziare a «conversare». Questo è il salto culturale più grosso, la sfida che dobbiamo tutti affrontare".


Come vi difendete dagli abusi e dall'uso improprio di questo strumento: come avviene in concreto la verifica della segnalazione ? Ad esempio se viene segnalato un incendio come fate a verificare in tempi utili che si tratti di un evento reale?
"Premetto che Open Foreste è una «demo». In teoria, se fosse usato dagli enti preposti all'antincendio, si dovrebbe seguire la procedura precisa di verifica e validazione della segnalazione che non sarebbe diversa da quella che si seguirebbe per una segnalazione fatta telefonicamente. In verità, l'aspetto della verifica non mi preoccupa «tecnicamente» più di tanto, sono fiduciosa nel buon utilizzo di questo sistema. Il controllo della veridicità e il dover decidere se pubblicare o meno la segnalazione è un fattore comune a tutti i flussi di informazioni che si «aprono». Il punto focale, per me, non è quindi la verifica, ma un altro aspetto, comune a tutte le piattaforme o a sistemi simili: chi sa usare bene internet può aprire un blog, una pagina su face book, un twitter account in pochi minuti, e se ho una buona "reputazione" nella rete posso diventare una fonte di informazione credibile. E' questo il nodo e anche l'aspetto un po' provocatorio di Open Foreste Italiane".


Quale può essere l'approccio delle istituzioni a questo Suo progetto e soprattutto al concetto di conoscenza condivisa ?
"La mia idea di fondo è che la voce dei cittadini, sia una voce importante, perché conoscono il territorio, perché ci vivono, perché lo utilizzano e sono coinvolti in prima persona.. I cittadini hanno a disposizione il web e ora anche il mobile, potentissimi canali di comunicazione, e possono così trasformarsi in «sensori» che raccolgono informazioni, le rendono disponibili, e quindi utili, ad altri attori. Il crowdsourcing dimostra che la folla ha un suo sapere, ha delle sue competenze, che sa e può comunicare. I cittadini che usano la rete hanno una loro competenza che non è di basso livello. Ora, se le istituzioni, cominciassero ad entrare in un'ottica di «conversazione» con «la folla» farebbero, a mio parere, un incredibile e positivo salto di qualità. Si passerebbe cioè dal concetto di monitorare, tenendo per sé le informazioni, e chiedendo solo alla fine la collaborazione, a quello opposto di aprirsi al dialogo con il cittadino e considerarlo un soggetto pensante e con un know-how, in grado di contribuire proattivamente anche alla gestione dei rischi e dell'emergenza. Iniziare con trasparenza e fiducia questa «conversazione» in tempo di pace, e ora, permetterebbe alle Istituzioni di acquisire una reputazione e credibilità sul web. Allora se si non inizia a costruire una reputazione e una credibilità perché uso la rete, perché mi apro alla rete, quando poi arriverà l' emergenza, non potrò in quattro e quattr'otto pretendere di avere la stessa credibilità e di «governare» il flusso di informazioni. La conversazione, la credibilità si costruiscono con il tempo, in tempo di pace, e questa è la cosa fondamentale. Ecco l'aspetto un po' provocatorio del progetto Open Foreste Italiane".


Quindi Lei si propone anche di essere anche uno stimolo per le istituzioni, non solo un supporto per la gestione dell'emergenza ma anche per offrire un veicolo di dialogo con il cittadino?
"Esatto. Perché se si parla sempre di resilienza e di rendere le persone più proattive, quindi più capaci di reagire a qualsiasi emergenza, coinvolgere le persone significa mettersi a discutere ad ascoltarle. E' questo il salto culturale a mio parere, non è un problema tecnologico, di soluzioni ce ne sono molte e funzionano bene: pensiamo a bellissimi progetti come open street, Hypercities; o a le numerose applicazione per iphone o android, tantissime sono possibilità. Non è quindi la tecnologia che manca, il problema non è tecnologico, ma, come diceva Adriano Olivetti, i problemi riguardano le persone".


Come sta andando la sperimentazione, cosa ha visto fino ad ora?
"Fino ad ora questo piccolissimo progetto sperimentale è stato visto e apprezzato da molti, senza che io facessi più di tanto per pubblicizzarlo. Mi sono limitata a fare il mio mestiere, lo dico con ironia. Posso ritenermi soddisfatta: abbiamo avuto un buon ritorno sulla stampa e soprattutto sul web,  devo ringraziare, oltre ad Ushahidi e Monica Palmeri che ha scritto un bell'articolo sul progetto e il network, la «mia» comunità su web. Un effetto inspettato: non più di un mese fa è apparso un articolo su L'Espresso che citava Open Foreste Italiane.


Progetti a venire, figli di questo...?
"Open Foreste Italiane, seppur in fase sperimentale, mi ha dato la possibilità di interloquire con un responsabile dell'antincendio boschivo, e con il Centro Intercomunale Colline Marittime della Bassa Val di Cecina, il cui responsabili Antonio Campus, ha voluto realizzare un altro progetto web 2.0 che comprende anche una mappa Ushahidi per le segnalazioni, a disposizione dei cittadini".


Ma come la mettiamo con «l'alfabetizzazione tecnologica»? Il web 2.0 non è ancora uno strumento di uso diffuso e quotidiano così conosciuto e familiare (come lo è ad esempio il telefono cellulare), come si può essere operativi se il cittadino non ha dimestichezza con questo strumento?
"La penetrazione internet in Italia è a buona e in crescita, ma questo non significa che l'alfabetizzazione al web sia allo stesso livello. A volte ho l'impressione che siamo agli inizi, ma va benissimo. Pensiamo a quando nel 1455 Gutenberg inventò il processo di stampa; ci vollero una cinquantina d'anni prima che quel processo di produzione si affermasse in Europa. Un'innovazione culturale, tecnologica e di processo, perché di questo si tratta, necessita di tempo, perché devono cambiare le strutture mentali, quelle più lente a mutare. Per fare il web 2.0 non basta semplicemente saper usare una tecnologia, e non è nemmeno aprire un profilo su facebook, ma bisogna avere competenze specifiche, e soprattutto avere un approccio alla condivisione e alla community, sia quando lo si sviluppa che quando lo si usa. Il nuovo comporta sempre un po' di studio. Anche imparare a guidare la macchina lo fu".


Quindi, come favorire la diffusione di queste competenze?
"Questa è una tematica che va affrontata a più livelli. Con il Centro Intercomunale di Protezione Civile, stiamo facendo formazione ad un primo gruppo di volontari, insegnando a pubblicare articoli su web, e a come si gestisce la piattaforma Ushahidi, Mi piacerebbe molto riuscire ad organizzare dei corsi di alfabetizzazione al web per tutte le fasce d'età, coinvolgendo le associazioni di volontariato, i comuni e perché no, anche le parrocchie, ricordo che alcuni anni fa furono proprio alcune parrocchie 'pioniere' che iniziarono ad organizzare questo tipo di corsi.
Oggi molti pensano di conoscere il web perché sono su facebook. Ma se da un lato non lo sopporto perché lo considero un'autorizzazione alla violazione della privacy, da un altro punto di vista facebook ha fatto entrare le persone nel web, fa loro scegliere di acquistare uno smart phone, insomma crea un'abitudine ad usare strumenti che un domani potrebbero essere convertiti per un uso sociale e in emergenza, o usare qualcosa molto simile a facebook per essere allertati, per inviare informazioni, per diventare i "sensori" del territorio. Non è facile passare da una partecipazione emozionale a una collaborazione proattiva. Ma non è detto che non sia possibile".


Tutto questo lavoro di alfabetizzazione andrebbe fatto subito, in modo da essere pronti al momento dell'emergenza...
"Sì, certo, come dicono tutti gli esperti di protezione civile: bisogna lavorare in tempo di pace, e non di emergenza. E poi mi ripeto sempre, siamo solo agli inizi, essere pionieri non è mai stato semplice, richiede passione, costanza e anche un po' di fortuna. Protec è un momento importante per imparare cose nuove, per fare network. Spero che sia un buon punto di partenza anche per noi pionieri".


 

 

Patrizia Calzolari