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Gli "infernali" Lavini di Marco e il concetto di catastrofe

Una frana alpina avvenuta nel 883 d.C lungo la valle dell'Adige viene ricordata per i danni che causò in una terzina dantesca

In questo quarto appuntamento della rubrica Calamitates raccontiamo le vicende legate a una enorme frana e come siano le grandi frane alpine legate strettamente al concetto di catastrofe.

Nell’anno 883 d.C. mentre i Vichinghi scorrazzano in Europa un'enorme frana avviene lungo la valle dell’Adige.

Così la descrive Frédéric Montandon nella sua fondamentale Chronologie des Eboulements pubblicata nel 1933 in Materieaux pour l’étude des calamités nella collana promossa dalla Croce Rossa con gli auspici della Società Geografica di Ginevra: “Marco, nei pressi di Rovereto, Trentino. Gigantesca frana sul versante NW della Zugna Torta (1257 m). Il deposito, di una superficie di circa 350 ettari, è chiamata Lavini di Marco… Secondo la cronaca di Fulda, l’Adige si trovò sbarrato dai materiali della frana, in tal modo che gli abitanti di Verona rimasero senza acqua per molto tempo. Una tradizione, conservata per iscritto a Innsbuck, narra di una località dal nome di Lagare che fu annientata dalla frana. La coltivazione non ripresero in quell’immenso chaos… I blocchi di calcare bianco non sono molto grossi ma si estendono a perdita d’occhio attraverso tutta la vallata. Si può valutare che questa frana sia di un volume di 100.000-120.000 mc, o forse di più ancora. Nella zona della superficie di scivolamento, si possono ancora oggi notare le placche assolutamente lisce essendo la giacitura inclinata nel medesimo senso del pendio”.

L’eco della catastrofe era ancora viva secoli dopo tant’è che Dante così ne parlò nella Commedia:

Qual è quella ruina che nel fianco

di qua da Trento l’Adige percosse

o per tremuoto o per sostegno manco” (Inferno, XII)

Chi volesse approfondire Giovanbattista Noriller scrisse nel 1871 I Lavini di Marco celebrati da Dante per una casa editrice di Rovereto.

Interessante come Dante lasci nell’ambiguità le ragioni dell’immane frana: terremoto o sostegno manco?

Una breve trattazione aggiornata e più scientifica è contenuta in Destructive Mass Mouvements in High Mountains: Hazard and Management pubblicato nel 1984 da Eisbacher e Clague per il Geological Survey del Canada. Gli autori lasciano aperto il dubbio sulle cause e assimilano i Lavini di Marco alle numerose “Marocche” che in quella regione testimoniano i depositi delle enormi frane avvenute in epoca postglaciale. Non ininfluente, se non causa prima scatenante, fu lo scioglimento dei ghiacciai e quindi l'avvenuta mancanza della loro formidabile contro spinta sui fianchi delle principali valli alpine.

Una riflessione appare opportuna sul concetto di catastrofe. Le grandi frane alpine sono catastrofi? Per restare ad anni più vicini a noi, che so io, il Vajont o la frana della Val Pola possono essere definite correttamente catastrofi? 

Credo che la risposta non possa che essere affermativa.

René Thom, matematico francese, (vedi di R.T. “Parabole e catastrofi” del 1980 per il Saggiatore) fu, tra le altre cose, un teorico dei processi che definiscono le forme delle catastrofi. Le quattro categorie da lui teorizzate si possono riferire anche, se non soprattutto, a fenomeni fisici tipo i passaggi di stato, il salto di un meandro di un fiume. Raggiunta nei sistemi complessi una certa soglia dei parametri che li tengono insieme si ha una risposta “catastrofica” del sistema che muta in modo irreversibile. Quindi se tutto ciò è solidamente vero le frane molto più delle alluvioni possono definirsi “catastrofi”: il paesaggio, i suoi colori, l’idrografia, i percorsi cambiano in modo irreversibile. Chi ha avuto l’occasione di osservare da vicino frane di queste dimensioni, il senso di smarrimento per l’immane cambiamento di luoghi conosciuti, può più facilmente comprendere i sentimenti che vengono scatenati.

Furio Dutto