Il sindaco de L'Aquila Massimo Cialente

Berlusconi mi disse: "Sindaco, mettiti l'animo in pace, punta sul turismo, l'università è morta". Intervista a Massimo Cialente

"Se mio figlio mi dicesse di voler venire a studiare all'Aquila, lo legherei alla sedia". Dalle parole del Premier alla necessità di una rivoluzione culturale: "Abbiamo una grande Protezione Civile perché non facciamo alcuna prevenzione, ci siamo specializzati a curare e non a prevenire"

Massimo Cialente, sindaco dell'Aquila, rilascia al nostro giornale un'intervista in cui parla, con grande umanità, della sua città, della durissima esperienza del terremoto, delle sue speranze, della mobilitazione a Roma, dei fondi mancanti per la ricostruzione, dei suoi cittadini, delle loro aspettative deluse ma anche del loro grandissimo attaccamento alle proprie radici.

Dott. Cialente, spesso in Italia i piani e le leggi arrivano dopo le catastrofi; qual'era la situazione a L'Aquila e qual'é la sua idea di Protezione Civile post-emergenza?


All
'Aquila avevamo un piano di Protezione Civile che era stato redatto dall'amministrazione precedente, era un piano nel quale si erano individuate tutte le aree di raccolta, aree che parte della città già conosceva; abbiamo fallito rispetto a quel piano perché vi erano alcune aree di raccolta comprese tra palazzi e piazze, dove quella notte non si poteva stare. Sapevamo di avere alcuni campi di atletica e di calcio ma è chiaro che era impensabile immaginare che si dovessero fare 100 tendopoli. Infatti la notte che arrivò De Bernadinis (vice capo settore tecnico-operativo dipartimento Protezione civile ndr), passò alla storia il fatto che fu il sindaco a guidare la macchina per trovare le zone; verso le quattro del mattino mi sentii male e allora li feci scendere da soli. Questo piano l'avevo rivisto nel mese di settembre-ottobre con l'allora assessore vicesindaco, Liga; avevo rivisto il piano, lo avevo attrezzato meglio, soprattutto avevo riorganizzato tutto il personale dell'emergenza, avevo avvisato i dirigenti ed i funzionari dicendo loro di scattare qualora fosse successo qualcosa: infatti a distanza di 25 minuti dal sisma eravamo al centro operativo comunale, che era stato lesionato, nonostante fosse una struttura in cemento armato; addirittura alcune persone sono arrivate col coniuge in piena crisi isterica: questo per dirle che il meccanismo ha funzionato. I miei uomini, a parte quelli con parenti sotto le macerie, c'erano tutti, anche quelli a cui era crollata la casa. Io la sera del 31, la sera della famosa Grandi Rischi, avevo portato il piano e lo feci vedere a De Bernadinis che mi disse che andava bene. Però il problema qual'è? Le aree vanno attrezzate e ci vogliono i soldi; è chiaro che io quella notte scelsi campi sportivi, parcheggi pubblici e privati, perché avevo la necessità di attaccarmi alla corrente e all'acqua, però attrezzare queste aree necessita di soldi, che il comune non ha.

Ora che cosa si aspetta?


Cosa mi aspetto dalla tragedia aquilana? In parte devo dire che Bertolaso è riuscito ad inserire nel decreto legge, con una grande fatica, il fatto che si parta a fare un'opera di manutenzione straordinaria, una messa in sicurezza degli edifici e credo sia riuscito a mettere anche una bella cifra. Ricordo però la guerra che ho dovuto fare, ricordo un Bertolaso arrabbiatissimo. Io mi auguro che nessuno si trovi nella situazione in cui mi sono trovato io. Avevo una scuola, la famosa 'De Amicis', che dal mio insediamento a sindaco pensavo di chiudere perché i "pazzi" precedenti avevano rifatto il tetto con i bambini dentro, perché c'erano genitori e maestri che non volevano abbandonare la scuola. Io sapevo da uno dei tecnici del Cnr che quella scuola non era sicura, sia per la struttura che per le scale e, ben prima del terremoto, avevo deciso, dovendo finire i lavori sul tetto, di chiuderla l'8 giugno, cioè il giorno successivo alle elezioni europee. Allora fui vittima di una commissione garanzia che non scorderò mai perché fu un agguato di opposizione, con tutti i maestri presenti, dove venni 'processato' fino a che io dissi che la responsabilità era la mia. Quindi mi aspetto che questo paese la smetta di fare il Ponte sullo Stretto e faccia una grande operazione culturale prima ancora che politica: questo paese deve decidere di investire in un grande piano di messa in sicurezza, scegliendo gli edifici sensibili, scegliendo quali sono le aree del paese rispetto al rischio antisismico, che è il più drammatico da prevenire, poi possiamo mettere al secondo posto quello idrogeologico. Mentre per le frane, attraverso la previsione delle pioggie, qualcosa si può fare, il terremoto è la cosa peggiore, perché non si può prevedere: anche tutto il dibattito della Grandi Rischi, cosa potevano i componenti della commissione? Io ero terrorizzato, avevo un gran magone dentro, perché sapevo che sarebbe potuto succedere in qualsiasi momento. La notte del terremoto ci fu una scossa poco dopo le 11 e mi chiamò il questore dicendomi di chiudere le scuole. Ma io pensavo che anche se avessi chiuso le scuole l'indomani, cosa avrei fatto il giorno dopo e quello dopo ancora? E' stato un dramma terribile, il terremoto è arrivato il 6, ma poteva arrivare in qualunque momento: il 16, il 26, il 4. La messa in sicurezza sarebbe anche un modo di spendere bene i soldi, come ho provato a spiegare a Tremonti; se si investe in lavori puliti, in aziende pulite, su opere pubbliche pulite, su progetti immediati, sarebbe anche anticiclico con la crisi.

Quindi cosa si dovrebbe fare?


Cambiare la cultura e cambiare le leggi: questo bizantinismo di carte bollate e di leggi porta ad una sorta di assuefazione, ad una routine. Poi ci vorrebbero dei controlli seri, random, sul posto. Poche leggi ma vere, dove il direttore dei lavori risponda di tutto; la perizia geologica deve essere fatta seriamente, sapendo di avere dei controlli veri, con i quali se sbagli ti cancello dall'albo; il famoso 'cubetto' di Report (il campione, in quel caso fasullo, di conglomerato fornito dalle aziende per superare i controlli ndr.) va preso sul posto, se me lo fai portare crolla tutta la catena dei controlli. Io ho cacciato alcuni direttori dei lavori, mi aspetterei questo, ma il nostro non è un paese che fa queste cose, non c'è nessun interesse, nessuna serietà. Ci vuole un cambio di cultura, siamo come chi fuma e non smette fino a che non arriva l'infarto. Questa è una grande operazione che dovrebbe fare il Parlamento, in commissione ambiente e lavori pubblici, dovrebbero fare un grande progetto per il
paese quarantennale, cinquantennale. Con quello che spendiamo per le emergenze potremmo intervenire su molte cose. Abbiamo una grande Protezione Civile perché non facciamo alcuna prevenzione, ci siamo specializzati  a curare e non a prevenire. Io sono un tabagista, ma oggi non riuscirei più a fumare in un ristorante, quando solo 10 anni fa si fumava dentro i cinema: è un cambiamento di cultura. Spero che nessun sindaco passi quello che ho passato io, avevo le scosse di terremoto, delle scuole di cui non mi fidavo, ma non avevo una lira per intervenire
 
A proposito del cambiamento di cultura, in Protezione Civile si parla spesso del concetto di 'resilienza', che è un concetto legato alle radici, all'identità culturale e all'attaccamento al territorio, come capacità dal basso di cambiamento culturale e di riuscire a partire dai cittadini per reagire alle catastrofi, siano esse naturali od antropiche. In Italia spesso viene fatto un piano dall'alto di cui solo dopo vengono informati o in cui vengono coinvolti i cittadini. Il concetto di 'resilienza' indica la possibilità di cambiare questa tendenza e di partire dai cittadini e dai piccoli borghi, essendo l'Italia fatta di piccoli comuni, comunità montane, piccoli centri dove gli abitanti sono molto legati al territorio. Questo è successo anche all'Aquila?
 
Nei primi giorni ho dovuto convincere i volontari della Protezione Civile che avremmo dovuto fare 100 tendopoli, e convincerli poi della necessità di costruire i prefabbricati in ogni frazione proprio per questo: la nostra è l'ultima città che vive ancora la fondazione, è tutt'ora una federazione. L'Aquila nasce dai famosi 99 castelli vicini che decidono di fondare la città e mandano dei fuochi (famiglie) che mantenevano la doppia cittadinanza, mantenevano il diritto all'uso civico,  cioè il diritto di pascolo e di legnatico, che era la vita sia nel paese del castello dal quale venivano, sia nel nuovo possedimento. Abbiamo infatti ancora una causa di promiscuità con dei pezzi del nostro comune, che dura da vent'anni: è una storia affascinante, le cause di uso civico sono pezzi di storia. I paesi che poi sono stati fusi per creare i quartieri o le frazioni della città e hanno creato questo comune che è uno dei più grandi d'Italia come estensione, sono i castelli che hanno fondato la città e hanno il loro uso civico. Per esempio lo ha Assergi, che ha anche un pezzo di montagna, che appartiene ai nativi di lì e non agli aquilani. Io, essendo nato dentro la città ho diritto a pezzi di altri vecchi castelli, essendosi persa la stirpe; oggi sono castelli che appartengono alla città per cui ho il diritto di fare legna in quei terreni in quanto discendente. Qui c'è una causa che dura da vent'anni, in cui il comune dell'Aquila dice agli abitanti di Assergi: tu, cittadino aquilano della frazione di Assergi, hai diritto a quell'uso civico ma anch'io in quanto discendente di un fuoco di Assergi e avendo diritto alla doppia cittadinanza ho diritto all'uso civico: questa è la nostra cultura.

Quindi un grande attaccamento al territorio.

Si, nessuno si è voluto allontanare dalla propria frazione, questa è una cosa positiva, noi stiamo rimanendo all'Aquila, pur essendo una vita impossibile da fare. Questo perché il posto dove tu hai scelto di vivere è la tua identità, io sono così perché sto all'Aquila, perché quando finii il liceo decisi di rimanere in questa città, fu una scelta ragionata. Questa diventa la tua identità, anche se vivi in una frazione. Ho delle frazioni di 60 anime, dove però la gente rimane, ci costruisce la famiglia e la casa. Ci vuole consapevolezza nelle scelte politiche nel decidere quali interventi fare: ad esempio se salvare la chiesa, la scuola o un altro edificio, ancor di più su come interveniamo, come riscopriamo il nostro borgo. Questo all'Aquila adesso si sta vivendo ma perché l'abbiamo perso: ora tutti rimpiangono il centro storico perché non c'è più, prima però gli abitanti del centro storico erano arrivati a mettere le veneziane sulle bifore. E' un problema culturale di un paese che non pone attenzione nelle scelte che fa, abbiamo una grande arretratezza. Quando ho cominciato a fare il sindaco, la mia prima preoccupazione fu convocare la società che mi fa sicurezza e, ovviamente, cominciai dalle scuole, in quanto ho migliaia di bambini. Scoprii non ce ne era una a posto con i certificati, mancavano uscite di sicurezza e porte antipanico; la città era terremotata già prima del sisma, in quanto ci furono 9 anni di un centro-destra folle, di cui sto pagando ancora le conseguenze. Cominciai a cercare nelle pieghe del bilancio, i pochi soldi che avevo li misi nella sicurezza, ma persino i miei, da cui non me lo sarei mai aspettato da un punto di vista culturale, mi dissero che ero pazzo perché le uscite di sicurezza non le vede nessuno, e che avrei dovuto fare i marciapiedi e i punti luce, perché la città si aspettava questo; io non riuscivo a rispondere perché era troppo grande la divergenza di vedute, la differenza nella scala di valori.

E quindi qual'è secondo lei la soluzione?


Quindi ci vuole un salto culturale: per esempio, ormai tutti noi siamo esperti, dai nonni ai nipoti, in metereologia, sappiamo tutto su alta pressione e anticicloni perchè siamo 'bombardati' tutte le sere; cominciamo a fare questo, a dire: 'non costruire dove i vecchi non hanno mai costruito'. I nostri vecchi, nella zona sud
dove abbiamo avuto i morti, non avevano mai costruito, ci avevano lasciato gli orti; a Pettino non avevano mai costruito, in tutta questa zona, intorno al municipio attuale, non avevano mai costruito, le costruzioni sono infatti degli anni sessanta. Qui si sono aperti dei crateri, la casa di mio cognato è crollata e i miei nipotini sono vivi per miracolo; quando hanno messo la sonda, si è visto che sotto era tutto materiale di risulta, era una discarica delle macerie del 1703, quando l'altro terremoto distrusse la città. E' una catena decisionale, come in ospedale ci sono primario, assistente, caposala, infermiera e se uno sbaglia, il malato ci rimette la pelle. C'è stato un momento di scarsa attenzione ma l'Aquila non è una città di cartone, ci siamo salvati quasi tutti quella notte, casa mia è uscita malconcia ma siamo usciti vivi. E' un fatto di cultura e di regole.
 
Il concetto di sradicamento solitamente viene inteso come l'allontanamento da un luogo; qui all'Aquila la sensazione è che gli abitanti si sentano sradicati pur essendo rimasti qui, essendo venuto meno il tessuto sociale, i luoghi di aggregazione.

Stiamo vivendo in una città temporanea e abbiamo perso i nostri riferimenti. Te ne accorgi solo dopo: i tuoi vicini di casa, la tua zona, la sicurezza del tuo negozio, i tuoi riferimenti, il tuo bar. Sai che in base allo stato e al ruolo sociale che ti assegna la comunità hai un senso psicologico e non politico di casta, sei quella cosa, sei riconosciuto come quella cosa, hai i tuoi luoghi e riferimenti identitari, le cose delle quali sei orgoglioso, ti ricordi che lì hai dato il tuo primo bacio, la prima volta che hai scoperto quella cosa, la prima volta che hai preso un pugno, questa è la tua vita, i rapporti sociali, il vicino col quale magari litighi. Io avevo un vicino di casa, vittima dei miei figli, che molto discretamente aveva condotto una piccola guerra, in modo molto educato, perchè parcheggiavamo male, ma in questo c'era quasi dell'affetto. Poi ti salta tutto. Sono saltati i rapporti sociali, non abbiamo più identità. A
lmeno con i map siamo riusciti a mantenere il tessuto sociale e culturale, perchè tutti quelli delle frazioni sono rimasti in quei 64 centri abitati. A Pescomaggiore, alle pendici del Gran Sasso, la gente, per esempio, è rimasta. Mio padre che abitava al Torrione dal '54, una vita intera quindi, adesso è andato a finire altrove, questo sta sradicando le persone. Io non me ne accorgo perchè da oltre un anno vivo una vita sospesa, la mia vita è arrivare qui e lavorare. Per gli altri però, soprattutto anziani e ragazzini, è un dramma. Nella mia via ci sono tre palazzi crollati, ma altri due in piedi, stanno ripartendo, riorganizzeremmo quella nicchia. Dov'è l'aspettativa? Ricostruire, riorganizzare la vita di prima. L'aspettativa era fortissima, per quello che siamo rimasti qui, avevamo Berlusconi vicinissimo, i primi giorni stavo più con lui che con mia moglie. Lo Stato, la Protezione Civile erano presentissimi, il Paese era vicinissimo, con anche un pizzico di solidarietà internazionale, pensavamo non solo di ricostruire l'Aquila, ma di farla persino più bella, di riscattare il dolore attraverso la ricostruzione.

Ora cosa succede?


Non c'è più nessuno, stiamo ripagando le tasse, oggi mi dicono che forse mi danno 118 milioni di euro con cui non faccio niente e allora sta crollando anche l'aspettativa. Il problema è soprattutto per i giovani che hanno la possibilità di andare via, per rimanere il prezzo da pagare è molto alto se per la ricostruzione ci vorranno 20 anni. L'omicidio che stanno facendo in questa città è che ci hanno lasciati soli, che non ci sono i soldi, si è capito che la ricostruzione sarà complicatissima; la città forse rimarrà solo nel contado, ma il rischio è che i giovani se ne vadano. La mia battaglia è avere la certezza di avere i soldi per ricostruire, ma oggi non riesco a pagare gli operai. L'esperienza è terribile, andrebbe fatta una grande operazione a monte, perché sono soldi risparmiati, al di là delle vite umane. Il Friuli è costato 30.000 miliardi di lire mentre noi costeremo, alla fine di tutto, sui 20 miliardi di euro: con questi soldi avremmo fatto chissà quanti interventi dai quali poi avremmo avuto un ritorno. A parte l'indotto, avremmo sistemato tutta la fascia appenninica. Invece stiamo facendo il Ponte sullo Stretto di Messina senza aver completato la Salerno-Reggio Calabria, con la tragica situazione della regione siciliana, una terra bellissima, ma colpita continuamente da frane.
Bisogna intervenire su questo. Solo dopo aver messo le mani su questo si può fare il ponte. Quando io e mia moglie ci sposammo eravamo senza soldi e ci comprammo la cucina, poi ci comprammo uno stereo e dei dischi, ma questo lo possono fare dei ragazzini senza figli: avevamo lo stereo in una sala vuota con due vecchie sedie impagliate. Questo è il vero problema del paese: chi vede se fai sicurezza? Vale molto di più se fai un'opera pubblica, perchè i cittadini non l'apprezzano. Nemmeno le mamme apprezzavano che io portassi via i bambini mentre facevano i lavori sul tetto, con una gru che portava pezzi sopra la testa dei figli.

E per quanto riguarda la manifestazione a Roma?


E' stata davvero una brutta cosa. Quando all'Aquila decisero di andare sull'autostrada, mi presi la responsabilità io, avvertii le forze dell'ordine, dissi di denunciare me, infatti verrò processato fra due anni, ma fu una cosa pacifica. Diecimila persone che occupano un'autostrada furono un grande atto di democrazia, un gesto simbolico, eclatante. A Roma siamo andati scortati, organizzati, con gli autobus e abbiamo trovato il drappello antisommossa. Gli incidenti sono successi perché molta gente non sapeva come comportarsi in un corteo. Io so come funziona un corteo, quali sono le regole per rapportarsi con le forze dell'ordine, invece loro non capivano come si permettessero di non farli passare, quindi spingevano perché erano indignati dal fatto che ci fosse la polizia che gli negava il diritto di andare a difendere se stessi, questo non è stato capito. Forse dovremmo fare un corso per spiegare cosa sono la celere e i caschi verdi, perché a menare furono i caschi verdi. L'accordo era che saremmo andati a Montecitorio, molti della manifestazione non sapevano nemmeno cosa fosse Palazzo Grazioli e che ci fosse il vertice di maggioranza. Gli spiegai che non si poteva passare lì sotto, mentre c'è in corso il vertice della maggioranza. Ma sono persone che non hanno mai fatto mai le manifestazioni, le altre volte hanno fatto le processioni: è gente normale, comune e anche benpensante, che ha visto la polizia picchiare e non se ne fa una ragione. Questo è successo il 7 luglio; l'anno scorso c'era il G8 e arrivavano tutti per poi incontrarsi con noi, da Obama agli altri: un anno dopo dai riflettori della piazza, dell'amore, siamo stati picchiati, è kafkiano. Io me le sono cercate perché mi sono messo in mezzo, ma sono arrivati a picchiare anche il sindaco, con la fascia tricolore e poi non credo che ci fosse qualcuno che non sapesse chi io fossi. Anche Lolli, che è un deputato di 60 anni, è stato proprio pestato, caricato apposta. Mi hanno fatto proprio male, la notte non riuscivo nemmeno a scendere dal letto. I miei concittadini l'hanno vissuta malissimo, c'è un fondo di tale amarezza, di vergogna e di umiliazione che stanno ancora rimuovendo. Non ho nemmeno visto uscire da nessuna parte il nostro video se non su internet dove non vanno tutti, ma solo la parte di paese che è già sensibile. Io mi arrabbiavo con miei concittadini, però provavo una sorta di tenerezza, perché proprio non capivano e mi chiedevano: 'perchè non ci fanno passare? Come si permettono?'.

Nel dramma del terremoto, il dramma della Casa dello Studente ha colpito ancora di più dal punto di vista emotivo; qual è la situazione dell'università?


Qui sono morti 55 studenti. Erano figli affidati a questa città dai genitori, per me è la cosa peggiore, è una pagina che la città non si può perdonare. La scelta di ripartire dall'università è stata decisiva dai primi due incontri con Berlusconi, quando io cercai disperatamente di salvare la città temporanea che fu messa a rischio il 5 maggio, quando avevano deciso di chiudere e spostare tutti gli uffici. Noi siamo come Bologna, senza università saremmo un'altra cosa, se salta l'università salta l'economia, ma anche la caratterizzazione della città: avere oltre il 30% della popolazione under 30 è un'altra cosa, sarebbe un altro clima, un'altra vita. Ricordo che Berlusconi, alla luce della tragedia della Casa dello Studente mi disse: "Sindaco basta, chi vuoi che faccia venire i propri figli a studiare in questa città, mettiti l'animo in pace, punta sul turismo, l'università e morta". Sarà stato il 7 o l'8; il giorno dopo mi disse, non lo scorderò mai: "Se mio figlio mi dicesse di voler venire a studiare all'Aquila, lo legherei alla sedia". La Gelmini è stata brava, lei e il Ministero, perché hanno capito che potevamo farcela, abbiamo fatto quest'università molto temporanea, abbiamo avuto la sospensione delle tasse per 3 anni, è chiaro che in questo momento siamo un po' in rianimazione, intubati, abbiamo recuperato circa 27.000 iscritti, non che io sia assolutamente ottimista, però le facoltà sono rimaste, quasi tutti i laboratori sono ripartiti. La scelta decisiva è ora capire come aiutare quest'università, quando dovrà cominciare ad essere nuovamente competitiva con Bologna, Perugia o Roma. Per fare questo ci vogliono idee sui servizi, magari da parte dell'università, ma soprattutto ci vogliono i soldi. Non so cosa succederà fra due anni all'università, quando dovremo camminare da soli, ricominciare a pagare le tasse. Non ho dato alloggio a degli sfollati per darli agli studenti, è una scelta politica che sto pagando, spero che non venga vanificata.

Quindi dopo il primo periodo di vicinanza anche mediatica, ora siete soli?


La prima 'botta' l'abbiamo avuta l'8 febbraio, con lo scandalo della Protezione Civile, ci hanno evitato tutti. Allora ci fu la mia famosa battuta: "è stato come quando la mamma ti diceva di non giocare con quel bambino che aveva il fratello con gli orecchioni, il bambino non ce li aveva ma il fratello sì". Per un mese non ci si è avvicinato nessuno. Abbiamo avuto 17.500 volontari qui, gente meravigliosa, bravissima, anche molto molto preparata, con ottime attrezzature e professionale. Il punto però è sempre questo, perchè abbiamo bisogno di tutto questo volontariato, così bravo ed organizzato? Perchè questo è lo Stato della cura e non della prevenzione.


(Julia Gelodi)