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Crisi climatica: il cambiamento parta dalle parole

Il nostro giornale si unisce alle tante testate internazionali che nell'ultimo periodo hanno iniziato a riflettere sull'utilizzo dei termini più corretti per parlare dell'impatto umano sul clima e sul pianeta. Stiamo affrontando "un'emergenza climatica", non basta più definirlo "cambiamento"

A pochi giorni dal secondo “Global strike for future” che ha visto scendere nelle piazze di tutto il mondo le nuove generazioni al grido di “Su le mani per il pianeta”, si fa strada anche nei media la consapevolezza che sia necessario un cambio di passo. Nel caso di giornali, radio e tv questa svolta parte dalla presa di coscienza che sia necessario utilizzare termini più incisivi per descrivere le conseguenze dell'impatto umano sul pianeta.

Va in questa direzione la scelta annunciata lo scorso 17 maggio da “The Guardian”. Il noto giornale inglese ha infatti aggiornato le sue linee guida introducendo termini più accurati per descrivere quanto sta avvenendo. Invece di “cambiamento climatico”, il quotidiano ha affermato e scritto nelle sue linee guida per giornalisti che d'ora in poi preferisce utilizzare parole come “crisi climatica” o “collasso climatico” anche se nessun termine, utilizzato per indicare il problema è stato completamente vietato.

Una scelta che dicono dal Guardian è stata presa per “essere certi di essere precisi dal punto di vista scientifico e per comunicare chiaramente con i lettori un tema così importante”. “L'espressione “cambiamento climatico” - ha detto il caporedattore, Katharine Viner, suona passiva e più delicata rispetto a quando gli scienziati parlano di questo tema come di una catastrofe per l'umanità”. Tra le novità introdotte nelle linee guida del Guardian figurano anche la sostituzione della parola “biodiversità” con “fauna selvatica”, “varietà di pesci” con “popolazione ittica” e “scettici del clima” con “negazionisti delle scienze climatiche”.

Prima del Guardian la stessa giovane attivista svedese, Greta Thunberg, che ha lanciato lo sciopero per il clima, aveva detto: “È il 2019. Possiamo chiamare ciò che sta accadendo per quello che è: collasso climatico, crisi climatica, emergenza climatica, collasso ecologico o crisi ecologica”.

Il termine “crisi climatica” è stato utilizzato anche dal segretario generale delle Nazioni Unite, Antònio Guterres, a settembre, che ha aggiunto: “stiamo affrontando una minaccia per la nostra esistenza”. La stessa formula è stata utilizzata dallo scienziato del clima Hans Joachim Schellnhuber, ex consulente di Angela Merkel e da Papa Francesco.

Anche il colosso radiotelevisivo anglosassone, BBC, a settembre ha ammesso in un articolo di aver “sbagliato troppo spesso” a coprire le notizie sul cambiamento climatico e ha ammonito il suo staff di giornalisti dicendo: “Non c'è bisogno di aver la voce di chi nega il fenomeno per bilanciare il dibattito”.

La riflessione è rimbalzata anche sulle pagine de “Il Sole 24 Ore” che ha riportato i risultati di una ricerca effettuata dalla Spark Neuro, società di consulenza pubblicitaria che si basa su ricerche neuroscientifiche.

Secondo i consulenti americani sarebbe meglio utilizzare il termine “crisi climatica”, che ha ottenuto una risposta emotiva del 60% più marcata da parte degli ascoltatori sottoposti alla sperimentazione, rispetto al vecchio caro “cambiamento climatico”.

Per l'esperimento, i tecnici di Spark Neuro hanno coinvolto 120 persone - equamente suddivise tra repubblicani, democratici e indipendenti - e le hanno fatte sedere nel laboratorio, con addosso dei dispositivi per la registrazione dell'attività cerebrale, mentre una webcam seguiva le loro espressioni facciali e delle cinghie misuravano il sudore delle mani che accompagna le emozioni, con le stesse tecniche utilizzate nella macchina della verità. L'idea è raccogliere tutti questi dati ed elaborarli con algoritmi dedicati, per quantificare le reazioni dei soggetti a qualsiasi cosa abbiano ascoltato.

In questo caso, hanno ascoltato registrazioni audio di sei definizioni. “Riscaldamento globale” e “cambiamento climatico” li hanno lasciati totalmente indifferenti. In termini di coinvolgimento emotivo e attenzione ricevuta, le due definizioni più comuni sono state battute da una serie di frasi meno familiari come appunto: crisi climatica, distruzione ambientale, collasso ambientale e destabilizzazione meteorologica.

Dietro la ricerca c'è il numero uno della Spark Neuro, Spencer Gerrol, che dopo anni di musurazioni neuroscientifiche applicate al mondo pubblicitario per grandi marchi americani come Netflix, Nbc, Paramount, ha scelto di rivolgere la sua attenzione sull'emergenza climatica.

Gerrol sostiene che il “riscaldamento globale” e i “cambiamenti climatici” hanno funzionato così male per due ragioni. Prima di tutto sono frasi neutre. «Non c'è nulla di intrinsecamente negativo o positivo» in queste definizioni, tanto è vero che lo stesso Luntz incoraggia i repubblicani a usare il termine benevolo “cambiamenti climatici”. Poi c'è la sovraesposizione: sia il riscaldamento globale che i cambiamenti climatici sono “esauriti”. C'è un motivo per cui le aziende pubblicitarie non utilizzano le loro campagne pubblicitarie degli anni '80: bisogna rinnovarsi per attirare l'attenzione delle persone. Per di più, se un termine non evoca una forte risposta emotiva, è ancora più probabile che si esaurisca rapidamente.

L'invito di Gerrol a riformare il linguaggio, del resto, è già stato accolto da molti ambientalisti. Il “Green New Deal” di Alexandria Ocasio-Cortez, ad esempio, ha contribuito a ravvivare il dibattito sulla politica climatica. Lo scienziato del clima Peter Kalmus raccomanda il termine “distruzione del clima”. Il New York Times ha recentemente usato le parole “caos climatico”.

Anche ilgiornaledellaprotezionecivile.it riflette sulla scelta dei termini più corretti da utilizzare per descrivere il complesso di cambiamenti climatici in atto a livello globale e segue da vicino il dibattito sulla terminologia che coinvolge le testate a livello mondiale. Per questo motivo la redazione ha scelto che d'ora in poi userà le parole “crisi" o "emergenza", invece di "cambiamento" per restituire meglio la portata del fenomeno e le conseguenze drammatiche che provoca sul pianeta.

La redazione de ilgiornaledellaprotezionecivile.it