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Adozione e affido dei bambini ucraini? "Non ora e solo attraverso canali ufficiali"

In Italia su 24.591 minori arrivati sono 100 i non accompagnati, non sono adottabili ed è prematuro discutere di affidi. Ne parliamo con Monya Ferritti, presidente del Coordinamento CARE e Chiara Valleggi, presidente di 'Genitori si diventa'

Ogni giorno settantamila minori diventano profughi dall'Ucraina, quasi uno al secondo. Lo ha calcolato l'Unicef che, insieme ad altre associazioni, da giorni denuncia il pericolo che questi bambini, soli o insieme alle loro madri, possano cadere in mani sbagliate. Vittime di una guerra che non risparmia nessuno anche se nel nostro, come in altri Paesi, in molti sarebbero pronti ad accoglierli e a prendersene cura nel breve o nel lungo periodo. 
 
Niente affidi e adozioni in tempo di guerra
Eppure il desiderio di affido o adozione, per quanto nobile, si scontra con un "ma" e con puntini di sospensione, così come sospese sono le vite di milioni di persone in fuga. In questa storia il "ma" parte da un assunto: non si fanno affidi e adozioni in tempo di guerra e questa guerra non fa eccezione. Già, perché i bambini che arrivano non sono quasi mai soli e certamente non sono adottabili. Lo dice la legge n. 47 del 7 aprile 2017 dedicata alla tutela dei minori stranieri non accompagnati. 
 
Ce lo spiega bene la dottoressa Monya Ferritti, presidente del Coordinamento CARE, il coordinamento nazionale di associazioni familiari adottive e affidatarie: "Le leggi nazionali e internazionali ci impediscono di adottare dai Paesi che sono in guerra e in questo momento è prematuro anche parlare di affidi dato che la maggior parte dei profughi sono famiglie composte da donne, quindi madri, zie, nonne con bambini. Nella maggior parte dei casi non si tratta di minori non accompagnati e quindi, più che di un affido, hanno bisogno di sostegno e per questo la macchina della Protezione Civile si è già mossa per cercare soluzioni, per trovare posti di accoglienza". 
 
Spiega Ferritti “che inizialmente le istituzioni, soprattutto quelle territoriali, stavano prendendo in considerazione l'ipotesi affidi anche per prepararsi all’emergenza. Poi la cabina di regia coordinata dalla commissaria Francesca Ferrandino, anche in seguito all'allarme lanciato da grandi associazioni, ha giustamente accentrato il tutto: si deve seguire la 'vecchia catena di comando', con la competenza ai Tribunali dei minori. E siamo nelle condizioni di farlo grazie a norme ad hoc anche per questa tipologia di ragazzi e a un enorme apparato giurisprudenziale di protezione dell’infanzia. Nel passato abbiamo corso invece dietro all’emergenza, si pensi al Rwanda o alla Ex Jugoslavia, molti bambini e ragazzi venivano adottati senza un controllo preventivo per verificare se fossero realmente in stato di abbandono”.
 
Su 24.591 minori arrivati sono 100 i non accompagnati
D'altra parte in Italia di minori non accompagnati ne sono arrivati davvero pochi a fronte del totale pari a 24.591, secondo i dati aggiornati dal Viminale: "Finora abbiamo circa 100 minori non accompagnati arrivati sul nostro territorio, - dice Ferritti - un numero molto esiguo se confrontato con i grandi numeri di minori che arrivano a bordo di imbarcazioni. Questi minori sono ospitati o da famiglie ucraine, in una sorta di affidamento monoculturale, oppure si trovano nelle nostre strutture di accoglienza perché vanno identificati e poi individuati i parenti più prossimi in Italia e all’estero. Non sono bambini che scappano per costruirsi un futuro in una società occidentale ma sono ragazzi che hanno un familiare da qualche parte e quindi bisogna in qualche modo cercare di ricongiungerli. L’enorme disponibilità dal basso che c’è stata in Italia e che, intendiamoci, mi rende orgogliosa e mi fa sperare che possa ripetersi anche in altre occasioni, è stata fin troppo precoce rispetto all’emergenza vera". 
 
Parole condivise dalla dottoressa Chiara Valleggi, presidente di 'Genitori si diventa' associazione composta da genitori adottivi e da futuri genitori, una rete nazionale di famiglie, 23 sezioni e punti informativi che da Nord a Sud si mettono a disposizione di chi ha già adottato e di chi desidera farlo. "Lo sconvolgimento provocato dalla guerra ha traumatizzato tutti, il buon cuore dice di intervenire immediatamente ma poi c'è bisogno di regolamentare e prestare la massima attenzione perché i bambini che arrivano non sono soli e non sono adottabili. Ecco perché, nonostante molti di noi siano stati contattati dai servizi sociali per segnalare famiglie disponibili ad accogliere i minori, non abbiamo fatto una raccolta di nominativi. Siamo infatti profondamente contrari alla creazione, da parte dell'associazionismo, di un 'database' che, secondo noi, espone tutti a grandi rischi. A nostro modo di vedere si deve necessariamente passare dalle istituzioni, dai tribunali, dalle strutture perché, per questi bambini, a trauma non si aggiunga trauma". 
"Secondo il nostro modo di vedere - prosegue Valleggi - l’associazionismo familiare si regge sul fatto che non siamo un ambiente valutativo, le famiglie da noi possono venire apertamente e raccontare. Questo è l’unico modo di crescere e trasformarsi, che poi è quello che chiede di fare l’adozione. Nel momento in cui avessimo un potere valutativo sulle coppie in modo da poter segnalare ‘coppia sì, coppia no’, tradiremmo la nostra missione".
 
Un discorso a parte meritano i bimbi che, in Ucraina, vivevano negli istituti. “Quando arrivano gruppi di bambini e adolescenti provenienti dagli istituti questi si muovono con esso, cioè sono sotto la tutela del direttore e, spesso, con educatori al seguito. - spiega Monya Ferritti -. Hanno accordi con i Paesi che li ospitano, soprattutto confinanti, quindi principalmente Romania e Polonia, e si ospita l’intero istituto, principalmente presso strutture religiose, che hanno più spazio. Questi bambini quindi non vanno in affido o in adozione ma restano tra di loro. Da quanto ci risulta gli istituti presenti sui territori bombardati sono stati spostati in quelle regioni dove non c’è guerra attiva oppure oltre confine, alcuni sono arrivati anche in Italia”. 
 
Agire ma non solo sull’onda dell’emozione
È importante in questa fase agire con ragionevolezza e anche non creare false aspettative. “L'emotività scatenata dal dolore della guerra - afferma Valleggi - può creare una distorsione della realtà. Gli istituti dell’affido e dell’adozione spesso non sono conosciuti in modo profondo e gli appelli populisti non aiutano a capire realmente cosa significhi avvicinarsi a questo mondo”. Parole d’ordine sono attenzione e rispetto. “I bambini sono fortemente traumatizzati dallo scoppio della guerra e da ciò che stanno vivendo, serve qualcuno che possa fare accoglienza professionale, prestando la massima attenzione. È sempre necessario mantenere come faro i loro bisogni. Guardiamo con apprensione anche alla spettacolarizzazione che talvolta viene fatta di questi bambini e ci chiediamo se sia davvero ciò di cui hanno bisogno adesso”.
 
A partire dal termine “orfano”. “Per i bambini che sono negli istituti ucraini si usa tantissimo e completamente a sproposito - dice Ferritti - moltissimi hanno la madre che lavora all’estero, molti sono nella struttura di protezione perché lo ha deciso il tribunale, esattamente come succede in italia, magari per famiglia abusante o trascurante. Gli orfani sono pochissimi, così come sono pochissimi in Italia. I bambini hanno rapporti con le famiglie di origine, magari anche solo un nonno che li va a trovare, resta comunque un legame e quindi i bambini non sono adottabili. Ricordiamo che non tutti lo sono, la maggioranza non lo è. Quindi dietro questa parola abusata in realtà si cela la prima falsità, una parola che induce al pietismo e alla commozione, in realtà questi sono bambini che molto spesso hanno affetti solidi in Ucraina e lì devono andarli a recuperare. Se sono adottabili o meno lasciamolo decidere alle autorità giudiziarie competenti dell’Ucraina”.
 
Concludere i percorsi adottivi già iniziati
L’unica cosa che può fare l’Italia al momento, per quanto riguarda il tema adozioni, è concludere quelle in essere. Sono 24 le famiglie che hanno già terminato la prima parte della procedura di adozione in Ucraina. Come ci spiega Monya Ferritti “lì si adotta andando sul luogo. Hai un abbinamento sul posto, accetti questo abbinamento, vai in istituto e conosci il bambino. Stai lì un certo numero di giorni, poi torni in Italia e aspetti che ci sia la sentenza di adozione e che la stessa vada in giudicato, una volta che è andata in giudicato puoi ripartire, finisci le procedure burocratiche come il passaporto per il bambino e la richiesta di ingresso in Italia con un minore e nel giro di pochissimi giorni torni in Italia con tuo figlio”. Al momento dello scoppio della guerra erano due le famiglie di nostri connazionali presenti sul territorio ucraino. “Una è riuscita a tornare dopo qualche giorno con la bambina. Inizialmente si erano rifugiati nell’Ambasciata italiana a Kiev e poi sono stati trasferiti per sicurezza a Leopoli. Dopo un po’, grazie all’intervento dell’Ambasciata, la famiglia è riuscita a oltrepassare i confini e arrivare in Italia. Nessuno può andare in Ucraina in questo momento ma si cercherà di fare di tutto per cercare di riunire le famiglie ai bambini che hanno conosciuto. La Commissione per le adozioni internazionali (CAI) è al lavoro per questo e in contatto con le autorità ucraine”.
 
“Sto apprezzando tanto il lavoro fatto in queste settimane dalla CAI - ci dice Valleggi - perché ha sempre mantenuto la visione sul primato dei bambini rifuggendo da soluzioni facili, e anche dal coordinamento Care che, a cascata, ha informato tutte le associazioni permettendoci di dare risposte alle famiglie di volontari”.
 
La solidarietà non si ferma, l’importante è canalizzarla correttamente e mantenerla viva. “Spero prima di tutto che questi bambini possano rientrare il prima possibile nel loro Paese e riabbracciare le rispettive famiglie. Poi spero che il risveglio delle coscienze accompagni per un lungo periodo le famiglie italiane che hanno dato la loro disponibilità all’accoglienza. Mi auguro che qualche famiglia rimanga col cuore aperto perché i ragazzi nelle strutture c’erano anche prima dello scoppio della guerra. Spero, insomma, che l’attenzione di oggi possa rimanere come seme per dare speranza e futuro ai bambini che sono tuttora nelle strutture italiane” conclude Valleggi. 
 
Favorire il rientro a “casa”
La speranza è che il conflitto possa concludersi il prima possibile e che i bambini possano tornare a casa. “L’Ucraina avrà bisogno dei suoi giovani per ricostruirsi quando tutto questo finirà. Continuo a sentire che siamo vicini a una risoluzione diplomatica e me lo auguro davvero - dice Ferritti - se invece dovesse protrarsi penso a paesi di confine non certo ricchi, come Romania e Moldavia, che stanno facendo da cuscinetto accogliendo un numero significativo di profughi e non possono essere lasciati da soli. Hanno sicuramente bisogno di sostegno così come, nel recente passato, ne ha avuto bisogno l’Italia”.
 
La speranza è anche che la via di fuga non venga sbarrata da persone senza scrupoli: “Credo molto all’allarme lanciato da Unicef e Save the Children sulla situazione esplosiva al confine. Ci sono associazioni criminose che si stanno attivando per intercettare giovani donne e bambini che passano il confine. Come ci si può fidare di chi va lì con intenti nobili per aiutare i profughi a fuggire, ti puoi fidare anche di chi non dovresti perché sei in situazione di trauma e choc e non pensi ti possa capitare nulla di male. L’allarme di ‘scomparsa’ è reale, serve massima attenzione e controllo” conclude Ferritti.

Katia Ancona