(Fonte foto: Dpc)

Alluvione: la mobilitazione dei volontari a Bologna

Oltre alle varie associazioni coinvolte e alla Protezione Civile, il Comune di Bologna è riuscita a mobilitare in poco tempo un gran numero di volontari tra i cittadini. Ne abbiamo parlato con Matilde Madrid

Non solo associazioni di Protezione Civile. Per rimuovere il fango e portare la situazione alla normalità, dopo l'alluvione il Comune di Bologna è riuscita a mettere in moto un’impressionante macchina della solidarietà, trovando volontari tra i cittadini comuni. Oltre a questo, anche lo spontaneismo - più o meno organizzato - ha fatto la sua parte. Ora la situazione è sotto controllo, ma per capire in che modo il Comune è riuscito a organizzare un grande numero di persone in così poco tempo, abbiamo intervistato Matilde Madrid, Capo Gabinetto del Comune di Bologna.

In che modo siete riusciti a coinvolgere i volontari?
Noi come Comune abbiamo attivato dei volontari, ma lo abbiamo fatto solamente quando al Coc i referenti delle colonne mobili ci avevano detto che da quel momento in poi sarebbe stato utile. Nelle prime fasi i volontari cittadini rischiavano di essere di intralcio o di essere in pericolo loro stessi senza un coordinamento. Nel momento in cui è stato possibile farlo, abbiamo lanciato una chiamata attraverso un modulo che era pubblico, ricevendo subito 2.400 adesioni. All’interno di questo modulo chiedevamo che i volontari fossero maggiorenni, poi in quale giornate e fasce orarie fossero disponibili a mobilitarsi, se erano automuniti. In base a queste informazioni abbiamo iniziato una serie di chiamate telefoniche per creare squadre da 20 persone. A ciascuna squadra era assegnato un referente del comune. Abbiamo mandato le squadre nelle zone che a mano a mano venivano sbloccate per questo tipo di attività. All’inizio avevamo anche situazioni pericolose, per cui davamo indicazione ai referenti del Comune di traghettare queste squadre al punto di lavoro.

Come avete organizzato i lavori?
Prima dei lavori avevamo aperto un form di segnalazioni di bisogni, per segnalare di cosa i cittadini avessero necessità, come attività di messe in sicurezza, attività di idrovora, spurgo. In questo gestionale la domanda poteva cambiare di stato, passando da uno stato di urgenza a uno stato di necessità. In questo modo siamo stati in grado di monitorare ogni singola problematica e chiamare le squadre di volontari a seconda della necessità. Avevamo anche il contatto specifico del cittadino, per avvisare che sarebbero arrivate le squadre di volontari, avvisando anche come riconoscerle, per prevenire lo sciacallaggio. Poco prima di inviare la squadra chiedevamo anche conferma anche che la problematica fosse ancora presente. 

Quali sono state le zone dove siete intervenuti?
Abbiamo mandato i volontari soprattutto nella zona che è stata maggiormente colpita, quindi Porta Saragozza, via Andrea Costa con tutte le sue laterali, anche via San Mamolo e limitrofe. Alcune squadre sono state mandate nel Quartiere Navile. Questi dati riguardano l’organizzazione in capo al Comune, anche perché sappiamo che c’è sempre stata un’organizzazione spontanea: fin dalle prime ore dell’alluvione abbiamo visto centinaia di persone che si erano già aiutate. All’inizio questo spontaneismo rischia in alcune situazioni di creare un intralcio alla protezione civile vera e propria. Ma in alcune situazioni il Coc ci aveva chiesto, nelle zone dove il Comune non era arrivato, se era possibile inviare qualche referente del Comune per fare da tramite tra i referenti delle organizzazioni sul campo e la grande massa di cittadini. E in realtà dei referenti naturali c’erano già, c’erano capisquadra naturalmente riconosciuti da tutti gli altri, spesso consiglieri di quartiere. Abbiamo quindi preso contatti quotidiani, ma i cittadini stavano già di fatto prendendo contatti con la protezione civile. Questa cosa è accaduta per esempio su via del Ravone: anche lì le squadre spontanee che sono arrivate hanno già trovata una loro leader naturale, anche lei una consigliera di quartiere. È stato un sistema virtuoso tra loro e l’organizzazione in senso stretto che avevamo messo in moto noi 48 ore dopo. 

Quali sono stati i numeri giorni per giorno? Quali saranno i prossimi passi?
Noi nei primi giorni di attivazione come Comune di Bologna a seconda della gravità del problema abbiamo messo in campo tra le 300 e le 400 persone a turno. Ogni squadra aveva un referente del Comune. Ma i volontari spontanei sono inquantificabili. In questo momento [martedì 29 ottobre, ndr] stiamo calibrando i volontari, perché non vogliamo raccogliere un numero eccessivo di disponibilità, lasciandoli con le mani in mano per tre ore. Ma oltre al lato protezione civile in senso stretto, il volontario ha anche confortato la popolazione. Alcuni si sono fermati anche a dormire nelle case colpite, per rassicurare le persone che avevano perso tutto. In un caso, so che i volontari sono anche andati a fare la spesa per una signora che aveva subito un infortunio alla gamba. Ora, finita la fase di gestione emergenza, ci rimane tutta la manutenzione delle fran. Quello è un lavoro che compete a noi e che faremo. Ma andremo avanti finché l’ultima segnalazione che abbiamo a sistema non viene risolto. Finché ci sarà da fare lo faremo, anche facendo cose che non sono strettamente correlate al fango. In questi casi si crea un clima di solidarietà, per questo voglio rivolgere un ringraziamento a tutti coloro che hanno operato e ci hanno raggiunto. Speriamo anche di aver accolto e assistito bene anche i volontari, perché anche loro avevano le loro necessità.

Giovanni Peparello