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Bello mondo, il libro che spiega il clima ai ragazzi

Federico Taddia ci ha raccontato il suo nuovo libro, Bello mondo, scritto insieme a Elisa Palazzi, che intende fornire ai giovani tutti gli strumenti per capire il cambiamento climatico

Parlare di cambiamento climatico e attivismo è difficile, ma può diventare semplice se si hanno gli strumenti giusti. Elisa Palazzi, climatologa e divulgatrice, e Federico Taddia, giornalista e divulgatore, con il loro podcast Bello mondo avevano dimostrato che cambiare la narrazione dominante è ancora possibile. Nell’arco di 12 episodi, ognuna delle quali con un ospite diverso, avevano saputo spiegare la crisi climatica a un pubblico sempre più ampio.

Ora il podcast è finito, ma non è finito l’impegno. Bello mondo è diventato un libro, rivolto ai giovani delle scuole secondarie, che ha l’obiettivo di spiegare il cambiamento climatico in modo chiaro, ampio e appassionante. Provando anche a rispondere a una domanda a cui di solito non risponde nessuno: cosa possiamo fare, ora, davvero, per cambiare il mondo? Ne abbiamo parlato con l’autore Federico Taddia, che domani domenica 1 ottobre sarà al Festival di Internazionale di Ferrara per presentare il libro insieme al meteorologo Federico Grazzini.



Come nasce l’idea di questo libro?
Facendo il podcast avevamo raccolto tantissimi materiali, utili e aggiornati, quindi abbiamo pensato di traslarli per un pubblico più giovane, pensando alle nuove generazioni. Abbiamo quindi deciso di fare un libro che avesse la grammatica per capire la complessità del sistema clima, usando tutti i contenuti che avevamo, insieme a Elisa Palazzi, che oltre che climatologa è anche un’ottima divulgatrice. Senza Elisa Palazzi questo libro non sarebbe stato possibile, perché Elisa è bravissima e oltretutto ha una visione ampia e un tono gentile. Per me la gentilezza e l’ironia sono fondamentali. E noi volevamo fare un libro complesso. Per questo motivo nel testo abbiamo anche un po’ provocato i ragazzi, dicendo apertamente che le cose che spieghiamo sono molto difficili, perché vogliamo far passare l’idea che oltre alla sensibilità ambientale, alla protesta e alla disponibilità a cambiare stili di vita serve anche la conoscenza. Abbiamo quindi cercato di spiegare loro quali sono le mille variabili in gioco, utilizzando un linguaggio flessibile e rigoroso, offrendo loro uno strumento che permetta di leggere quello che sta accadendo dal punto di vista scientifico.  

Come è strutturato il libro?
Il libro è strutturato in una decina di capitoli. Ogni capitolo si apre con una confessione della Terra stessa, con cui diamo voce proprio al pianeta, che ci dice per esempio che lei nonostante tutto sta benissimo, perché ne ha viste di cotte e di crude, raccontando per esempio la sua prima nevicata, la sua idea di amore, e altre cose così. Abbiamo cercato, attraverso questo dialogo con la Terra, che è molto breve e introduttivo, di offrire uno spazio empatico. Poi ci sono i dieci capitoli, che partono dalla spiegazione delle basi della Terra, del perché si sta riscaldando, di cosa sta succedendo all’acqua, del valore dei ghiacciai e delle montagne, fino all’adattamento, alla mitigazione. In seguito vengono spiegate dal punto di vista scientifico le colonne portanti per comprendere la situazione attuale. Poi ogni capitolo si chiude con una sorta di rubrica che abbiamo chiamato “Rompete le scatole”: anche qui l’idea è quella di passare dalle singole azioni individuali che ragazzi e ragazze conosco bene, a immaginare situazioni in cui si può diventare attivatori di cambiamento a livello di microcomunità, nella propria scuola, nel proprio Comune, nel proprio quartiere, quindi proprio come andare a “rompere le scatole” al preside, all’amministratore di condominio, al proprio sindaco. E poi nel libro lungo tutto il percorso sono distribuiti un sacco di box, perché volevamo che fosse molto aggiornato, raccontando in questo modo sia quello che gli scienziati sanno da sempre, sia i numeri e le conseguenze più recenti.

Quali sono le differenze rispetto al podcast?
Il podcast era volutamente rivolto a tutti, ma soprattutto a un pubblico adulto di non addetti ai lavori, con un taglio divulgativo. Con il libro invece abbiamo abbassato il target, con l’idea di parlare a ragazzi e ragazze che vanno dai 13 ai 18 anni, un target quindi comunque maturo, a cui puoi chiedere di alzare l’asticella, ma dando loro strumenti per capire. Poi, come sempre quando si fanno esercizi di divulgazione, come ci stiamo accorgendo un po’ dai feedback che ci arrivano, anche tantissimi adulti lo stanno leggendo, forse perché in questo libro abbiamo tentato di spiegare più cose rispetto a ciò che si spiega di solito. Vedo che questa cosa piace. In tanti mi dicono: “Abbiamo appreso un sacco di cose che non conoscevamo”. Poi, per dargli un guizzo estetico, abbiamo deciso di fare un libro che è come come se fosse già stato letto: ci sono già parti di testo sottolineate, o cancellate, o una serie di appunti a margine, con veste grafica che lo fa essere molto più amicale, come se te lo avesse prestato un tuo amico che lo ha appena letto. Quindi è stata una lettura molto più facilitata e simpatica. un lavoro molto diretto. Nel podcast poi puoi dire le tue cose, prenderti i tuoi tempi, mentre nel libro devi essere più secco e diretto. Poi è stato fatto un lavoro sul target, ci siamo chiesti se determinate parole fossero conosciute, o se dovessimo spiegarle, o se fosse possibile evitare di usarle. D’altra parte il libro ti permette di dare voce alla Terra stessa, in un modo tale che quando lo leggi quasi ci credi. 

Quindi quali sono le cose che normalmente non vengono spiegate?
Ti faccio un esempio. Ero proprio ieri [martedì 26 settembre, ndr] in una scuola dove si parlava della fusione dei ghiacciai, con il grande mantra “i ghiacciai si stanno scogliendo”, “ne vedremo sempre di meno”, “diventeranno più piccoli”. Allora ho chiesto ai ragazzi: cosa succede quando si fonde un ghiacciaio? Così abbiamo parlato di quali sono a cascata tutte le reali conseguenze, dal ciclo dell’acqua al reale riscaldamento, e tutte le varie sfaccettature che sono dietro a un fatto che tutti sappiamo che è negativo. Oppure, sottolineiamo che quando parliamo di CO2 dobbiamo sapere che non c’è solo quella tra i gas climalteranti. Oppure: la mitigazione e l’adattamento, cosa significano nel concreto? Sono parole che arrivano a tutti, ma cosa significano concretamente? Oppure, ancora: l’evento estremo è estremo rispetto a cosa? E noi dobbiamo arrivare a rispondere alla seconda domanda, o alla terza domanda, non accontentandoci della notizia a effetto, andando un po’ oltre. Io questo libro me lo immagino in mano a un ragazzo di 13/16 anni, un ragazzo che va in piazza con i cartelloni a protestare, che magari ha deciso di mangiare meno carne o diventare vegetariano, o acquista solo vestiti usati, quindi vive già un cambiamento di stile di vita e lo vive come un’opportunità. Noi a questo ragazzo diamo un ulteriore strumento per comprendere dal punto di vista scientifico quali sono gli effetti e le conseguenze di queste azioni. Poi il target si allarga: il libro lo ha letto anche qualche ragazzino più piccolo, oppure, come dicevo, lo leggono anche tanti adulti.

Visto che vi siete occupati di divulgazione negli ultimi anni, avete avvertito se è cambiato qualcosa nella comunicazione climatica? 
Sempre durante l’incontro di ieri una ragazza ha chiesto: “Ma perché ci dite sempre cosa non fare, invece di dirci che cosa fare?” Ecco, secondo me questa domanda è proprio paradigmatica. Io non credo alla comunicazione al lupo al lupo, come non credo troppo a una comunicazione fatta solo di dati, come è stata fatta in questi ultimi anni. Secondo me bisogna costruire sempre un contesto, una narrazione. In più, credo molto alla contaminazione tra le arti: lo stesso nome del podcast e del libro, Bello Mondo, è il titolo di una poesia che abbiamo rubato a Mariangela Gualtieri. Spesso quando faccio gli incontri con i ragazzi uso la letteratura, uso la musica. Ci sono molti modi di comunicare. 

Per quanto riguarda il modo in cui è cambiata la comunicazione in questi anni, invece, secondo me negli organi di stampa, giornali e radio ci sono giornalisti più competenti, nel senso che ci sono professionisti che padroneggiano la materia, come vediamo in molte ottime pagine dei quotidiani, ma anche negli inserti. Le cose sbagliate continuiamo a trovarle, ma le troviamo più nel racconto di cronaca, mentre negli approfondimenti c’è maggiore competenza. Poi secondo me è subentrata un po’ di noia nel leggere queste cose. Un’altra cosa che chiedo quando faccio incontri nelle scuole è questa: “Vi siete annoiati a parlare di queste cose?” E a volte i ragazzi mi dicono di sì. Quindi forse è ora di cambiare le cose da dire. Quando un incontro finisce, i ragazzi mi chiedono sempre: “Ma allora noi cosa dobbiamo fare?” Noi che facciamo già la differenziata, noi che già usiamo la borraccia, andiamo a scuola in bicicletta, che compriamo vestiti usati. Noi facciamo tutte queste cose, mi dicono, eppure non cambia niente. Hanno sete di soluzioni possibili. 

Allora in conclusione ti faccio la stessa domanda che ti fanno i ragazzi alla fine di un incontro: cosa dobbiamo fare, in concreto?
Ovviamente la soluzione individuale non esiste, perché sappiamo che il problema è ampio. Ma io punto molto – e pure il libro va in questa direzione –  sul fatto che i giovani debbano prendere il nostro posto come giornalisti, comunicatori, scienziati e decisori. Dobbiamo spingerli ad aiutarci, a capire, a farsi le ossa, a studiare, a occupare le poltrone pian pianino. Io ho ottimi rapporti con i ragazzi dei Fridays For Future e degli altri movimenti, ma è arrivato il momento di dar loro spazio. Ognuno come singolo può fare il proprio, però c’è bisogno di ricambio nelle micro e nelle grandi comunità.

Giovanni Peparello