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Coronavirus e crisi climatica sono collegate. L'intervista al professor Redi

La pandemia è frutto della crisi ambientale, spiega il professor Carlo Alberto Redi, le soluzioni ad essa risiedono nell'educazione alimentare, ambientale e in nuove politiche di conservazione del pianeta

Quale relazione c'è tra coronavirus e crisi climatica? Per rispondere a questa domanda e per capire quali siano gli strumenti per affrontare in modo efficace l'emergenza ambientale, abbiamo intervistato Carlo Alberto Redi, presidente del Comitato Etico della Fondazione Umberto Veronesi, per la quale è uno dei referenti del progetto “Science for Peace”, nonchè Professore ordinario di Zoologia e Biologia dello Sviluppo dell'Università di Pavia, ora in pensione.

È giusto secondo lei considerare il cambiamento climatico come un problema di salute pubblica? Se sì, perché?
“Certo, non c'è dubbio. Lo dicono gli esperti, la letteratura ed è quello che si insegna a lezione: il cambiamento climatico inevitabilmente porta a sovvertire e distruggere interi ecosistemi non solo terrestri ma anche marini: ci si dimentica sempre che ci sono barriere coralline che stanno scomparendo, uno degli ecosistemi più centrali per il funzionamento del pianeta. Questo cambiamento determina i fenomeni di zoonosi o spillover (il passaggio di un patogeno da una specie ospite all'altra n.d.r.) che sono sotto gli occhi di tutti o casi di reverse spillover (si verifica quando gli esseri umani trasmettono un virus ad animali domestici o selvatici, n.d.r.), come quello dei visoni contagiati in Danimarca e poi abbattuti”.

La pandemia può essere considerata al pari di una catastrofe ambientale?
“Si deve parlare di pandemia dovuta alla catastrofe ambientale. Questo mette in campo il problema dell'ingiustizia ambientale che una ragazzina adolescente come Greta Thunberg ci ricorda costantemente. Il tutto è frutto di quanto fatto in passato nel corso di centinaia di migliaia di anni: se abbiamo l'influenza è perché abbiamo addomesticato il pollame, se abbiamo il morbillo è perché abbiamo addomesticato le mucche, se abbiamo la pertosse è perché abbiamo addomesticato il maiale. Ora va detto che questo sfruttamento del pianeta - uno sfruttamento capitalista, va detto a gran voce - per uno stile di vita di un certo tipo ha portato a una sempre maggiore distruzione del mondo. Dalla rivoluzione industriale ad oggi, in 300 anni circa, noi abbiamo distrutto i 2/3 della superficie del pianeta per l'industrializzazione, l'urbanizzazione e l'agricoltura intensiva. Ora è il momento di chiedersi se abbiamo raggiunto un punto di non ritorno. Io direi di sì”.

Quali rimedi intravvede per affrontare questa crisi climatica?
“L'educazione alimentare, per noi che ci alimentiamo di carne rossa producendo gas serra e, allo stesso modo, per le centinaia di milioni di persone che in Oriente e in Africa Occidentale hanno i wet market come punto centrale della loro economia. Non si può dire da un giorno all'altro chiudiamo i wet market (I mercati della fauna selvatica all'aperto molto diffusi in nel Sud Est asiatico ndr) perché sarebbe come se a noi dicessero da domani ti chiudiamo il supermercato sotto casa. Metteremmo alla fame milioni di persone che per vivere cacciano nelle foreste e mangiano il pangolino, il pipistrello, il macaco. Il problema è lo sfruttamento capitalista delle risorse del pianeta con tutte le disuguaglianze correlate. C'è un problema di ingiustizia ambientale in quello che ci sta succedendo. Serve una volontà politica che capisca che non potremo tornare a quella normalità perchè è quella normalità il problema e dovremo mettere in campo politiche di conservazione del pianeta”.

Le zoonosi saranno sempre più frequenti a causa della crisi climatica? Qualcuno le aveva previste prima dell’attuale pandemia?
“Ne arriveranno altre, è garantito. E questa era stata ampiamente prevista. Ci sono gli atti ufficiali: quando Trump è diventato presidente Anthony Fauci, massimo esperto di immunologia statunitense, gli portò i documenti dicendogli che entro breve sarebbe arrivata una pandemia dovuta ad un virus che passa attraverso l'aria. I documenti sono ufficiali, la Nato aveva già preparato i programmi per controllare la pandemia. Sono i buffoni che raccontano che è stato creato in laboratorio. Sono sciocchezze, fake news, il laboratorio di Wuhan è uno dei più seri e controllati del pianeta. È stato finanziato per anni dai francesi della Sanofi e dagli americani. Quello del Coronavirus è uno spillover che è dovuto a come trattiamo il pianeta. L'importante è la consapevolezza di ciò che sta succedendo. Poi bisogna sviluppare un'azione politica forte che dica che ci dobbiamo prendere cura del pianeta”.

Claudia Balbi