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Coronavirus e fragilità. Violenza sulle donne, l'allarme: "Donne isolate. Meno denunce"

In tempi di isolamento da coronavirus calano le denunce e le chiamate ai centri anti-violenza, ma non la violenza sulle donne che ora vivono anche un isolamento sociale che porta a maggior controllo da parte dei compagni violenti

ilgiornaledellaprotezionecivile.it ha deciso di focalizzarsi sulle difficoltà quotidiane dei soggetti più fragili della società, durante la pandemia di coronavirus. Per avere la massima diffusione possibile, la redazione ha lanciato anche una campagna social con l’hashtag #NonCiLasciareIndietro

“In questi giorni ho ricevuto una telefonata da una donna che non riusciva a stare in casa col marito, ma non voleva denunciarlo. La signora subisce violenza a bassa intensità, nel senso che è sotto controllo dell'uomo, ma questo tipo di violenza può aumentare. Ha dovuto sfruttare un momento in cui era uscito dall'abitazione per 10 minuti per contattarci”. A raccontare la cronaca di una richiesta di aiuto è Elsa Antonioni, vicepresidente della Casa delle donne per non subire violenza di Bologna e da vent'anni operatrice d'accoglienza. “La donna mi ha riferito che hanno due case - racconta Antonioni - e di aver già ricevuto maltrattamenti fisici dall'uomo. Le ho detto di chiamare i carabinieri”. “È terribile perché non ci si può muovere per allontanarsi in questo momento - continua Antonioni - e, quindi, chi ha un'altra abitazione per spostarsi deve chiamare il Comune dov'è situata la seconda casa e chiedere il permesso per raggiungerla".


Dietro alle restrizioni nazionali prese per evitare il contagio da coronavirus, quello che sui social chiamiamo #iorestoacasa, si celano pericoli enormi per le donne che subiscono violenza domestica. “Soprattutto sono più sotto ricatto e sotto controllo, la violenza psicologica aumenta”, conferma Antonioni. Risultato: il numero di maltrattamenti sommersi aumenta. Il centralino della Casa delle donne di Bologna, infatti, che in media riceveva 2 o 3 telefonate di nuovi casi al giorno da quando è iniziata l'emergenza e sono scattate le misure restrittive ne riceve 1 al giorno. Il controllo degli uomini maltrattanti non permette alle donne di alzare la cornetta, ma la violenza non si ferma. Lo scorso anno una donna su tre ha subito violenza e l’81,2 per cento dei femminicidi, nel 2019, è avvenuto all’interno della famiglia.

La stessa situazione è confermata a livello nazionale dai dati del 1522, il numero nazionale antiviolenza rilanciato in occasione dell'emergenza coronavirus per volere della ministra alle Pari Opportunità Elena Bonetti. Le chiamate al telefono antiviolenza e stalking sono diminuite del 55,1% durante l'emergenza Coronavirus. Dalle 1.104 telefonate ricevute tra l'8 e il 15 marzo del 2019 si è passati alle 496 nelle stesse settimane di marzo 2020, quelle dove tutti gli italiani sono stati costretti a trascorre gran parte del loro tempo in casa.

Secondo le volontarie lo scorso anno nelle prime due settimane di marzo le donne vittime di violenza o le segnalazioni di casi, erano state 193 (164 italiane pari all'85% e 29 straniere pari al 15%). Quest'anno, invece durante l'emergenza, nelle prime due settimane di marzo le vittime di violenza (o le segnalazioni di violenza) che hanno chiamato il telefono dedicato sono state 101 (l'86% italiane e il 14% straniere) con una diminuzione del 47,7%. Sono inoltre praticamente crollate le telefonate di vittime di stalking: l'anno scorso nelle prime due settimane di marzo erano state 33 (91% italiane e 9% straniere), quest'anno soltanto 7 (sei italiane e una straniera) segnando un diminuzione del 78,8%. 


Non si tratta di un fenomeno solo italiano, anche in Cina le associazioni contro la violenza sulle donne hanno notato un incremento dei casi di maltrattamenti domestici in contemporanea con l'applicazione di misure che limitavano la possibilità di uscire di casa. Dal 6 marzo, secondo un’organizzazione non governativa cinese che lavora con le donne, il numero totale di casi di violenza domestica nella prefettura di Jingzhou, nella provincia di Hubei, epicentro dell'epidemia, è salito a oltre 300, e a febbraio il numero di casi è raddoppiato rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Secondo uno degli attivisti che ha fondato l’ong, “l’epidemia ha avuto un impatto enorme sulla violenza domestica”.

Un altro problema, segnala poi la vicepresidente della Casa delle Donne di Bologna, riguarda gli ordini di allontanamento degli uomini violenti da casa e il divieto di avvicinarsi senza permesso del giudice che sono resi più faticosi in situazione emergenziale da coronavirus. “Ad esempio - racconta la vicepresidente – spesso l'uomo dice che non ha altro posto dove andare e quindi in alcuni casi che ci sono stati segnalati vengono confinati in ambienti attigui alla casa dove vivono la donna e i figli: per le vittime di violenza è un rischio intollerabile”. Il centro antiviolenza bolognese nato nel 1990 ha cercato altre soluzioni, come soggiorni in alberghi, ma sono tutti chiusi per l'emergenza. Le case rifugio sono aperte, ma normalmente non hanno una quantità di posti elevata e, per questioni di sicurezza e per abbassare i livelli di ansia degli ospiti, non si possono riempire allo stremo. “Anche le operatrici stanno limitando la loro presenza, anche se ovviamente mantengono i contatti con le donne telefonicamente” spiega ancora Antonioni.

Quello dei pochi posti disponibili è uno dei problemi evidenziati anche nella lettera-appello che l'associazione nazionale D.I.R.E, donne in rete contro la violenza, ha sottoposto alla ministra per le Pari Opportunità Elena Bonetti, nella quale oltre alla mancanza di presidi sanitari per le operatrici dei centri anti-violenza e delle case rifugio, si sottolinea la necessità di nuovi fondi per l'emergenza coronavirus e di un nuovo protocollo nazionale in tempi di emergenza sanitaria. C'è “difficoltà a fare nuove accoglienze per le donne che necessitano di protezione immediata perché non sono stati fino ad oggi previsti meccanismi di finanziamento specifici per l’emergenza, in particolare per individuare strutture ad hoc nelle quali accogliere le donne per la necessaria quarantena prima dell’inserimento in casa rifugio qualora dovessero presentare sintomi riconducibili al COVID-19, o per gestire la separazione dei nuclei accolti in casa rifugio qualora dovessero emergere casi di contagio da coronavirus”. Una donna che oggi chiede di entrare in una casa rifugio deve dunque affrontare un ostacolo in più, quello sanitario.

A calare sono anche le denunce. Un'emergenza nell'emergenza, come spiega Paola Di Nicola, Giudice al tribunale penale di Roma, ospite del programma “Giorno per giorno” su Radio1. “La riduzione delle denunce è uno dei segnali peggiori, così come dicono le operatrici antiviolenza e i giudici, perché dimostra l'acuirsi della violenza e l'impossibilità al contempo per le donne di chiedere aiuto”. Ma gli strumenti per combatterla ci sono ripete Di Nicola: “Voglio sottolineare che i centri anti-violenza sono aperti e che anche la magistratura e le forze dell'ordine continuano ad essere impegnati in questo ambito. Noi come giudici continuiamo ad emettere misure cautelari nei confronti degli uomini maltrattanti. Ci rendiamo conto della difficoltà di uscire da casa, ma uscire e andare dalle forze dell'ordine può essere lo strumento che le può salvare”.

E ancora assicura il giudice: “Questi sono i casi che sono i primi ad essere sottoposti al vaglio del Ministero e poi del giudice, hanno una corsia preferenziale. Quindi se c'è una situazione di pericolo anche adesso, in tempi di situazione emergenziale, noi come magistratura e forze dell'ordine continuiamo ad operare”.

Consigli utili

Una donna che subisce violenza può chiamare le forze dell'Ordine dei commissariati limitrofi

Chiamare il numero nazionale gratuito antiviolenza 1522

Contattare il centro anti-violenza più vicino

Claudia Balbi