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Il Nobel e il futuro della climatologia

I premi Nobel per la fisica quest'anno hanno dimostrato che anche il clima è importante dal punto di vista scientifico. Ne abbiamo parlato con Antonello Pasini, del Cnr

Il 5 ottobre 2021 sono stati insigniti del Premio Nobel per la fisica l’italiano Giorgio Parisi, l’americano Syukuro Manabe e il tedesco Klaus Hasselman. Com’è naturale, in Italia ci siamo concentrati prevalentemente sulla vittoria di Parisi -  premiato per le ricerche sui sistemi complessi, ma con all’attivo moltissimi altri lavori. Manabe e Hasselman invece lo hanno vinto insieme per “la modellazione fisica del clima della Terra, che ne quantifica la variabilità e prevede in modo affidabile il riscaldamento globale”. A una prima occhiata da profano, questi riconoscimenti possono sembrare quasi separati e casuali - uno dato a un fisico teorico e gli altri due a dei climatologi - ma, come ci spiega Antonello Pasini, ricercatore dell’Istituto sull’inquinamento atmosferico del Cnr, che abbiamo intervistato per capire meglio la questione, non è assolutamente vero: “Parisi si occupa di sistemi complessi e il clima stesso è un sistema complesso”. Ma andiamo con ordine - e partiamo dai giorni della premiazione.

Partiamo dai giorni della premiazione
Pochi giorni dopo la vittoria del Nobel, l’8 ottobre, Parisi ha tenuto un discorso alla Camera dei Deputati in occasione del Pre-COP26 Parliamentary Meeting, la riunione dei parlamenti in vista della Cop26. Per chi non lo sapesse, la Cop26 è la ventiseiesima Conferenza sui cambiamenti climatici, che quest’anno si terrà a Glasgow dall'1 al 12 novembre, e che verosimilmente sarà una delle ultime chiamate per i Governi mondiali per riuscire a evitare la catastrofe climatica. Parisi, approfittando della notorietà del Nobel, ha colto l’occasione per parlare del clima - e ha deciso di farlo con un discorso molto chiaro e molto duro sul futuro, sui compiti dei governanti e delle nuove generazioni: “Abbiamo di fronte un enorme problema che ha bisogno di interventi decisi, non solo per bloccare le emissioni di gas serra, ma anche di investimenti scientifici”. In un altro passaggio Parisi ha citato i modelli per le previsioni climatiche, cioè il motivo per cui i colleghi Manabe e Hasselman hanno vinto il Nobel insieme a lui: “Quando l’IPCC [Intergovernmental Panel on Climate Change] prevede che in uno scenario intermedio di riduzione delle emissioni di gas serra la temperatura potrebbe salire tra i 2 e i 3,5 gradi, questo intervallo è quello che possiamo stimare al meglio delle conoscenze attuali”. “Tuttavia”, ha specificato, “deve essere chiaro a tutti che la correttezza dei modelli del clima è stata verificata confrontando le previsioni di questi modelli con il passato. Se la temperatura aumenta più di 2 gradi entriamo in una terra incognita in cui ci possono essere anche altri fenomeni che non abbiamo previsto, che possono peggiorare enormemente la situazione”. I modelli climatici, in sostanza, ci aiutano a capire cosa ci aspetta nel futuro - o meglio: ci aiutano a districarsi tra le molte possibilità rappresentate dal futuro. E una cosa, almeno, la hanno dimostrata: il cambiamento climatico esiste.


L’importanza dei modelli climatici
Ma a quali ricerche fa riferimento il Nobel a Manabe e Hasselman? A rispondere è Antonello Pasini, ricercatore dell’Istituto sull’inquinamento atmosferico del Cnr, che nasce fisico teorico, si occupa di climatologia e considera Parisi “il Leonardo da Vinci della fisica teorica contemporanea” - e che quindi, come sottolinea lui stesso, ha questi argomenti molto a cuore. “I modelli dei Nobel arrivano dagli anni ‘60”, dice Pasini, “Manabe e Hasselman in realtà sono dei precursori dei modelli climatici attuali, ma sono stati i primi a cercare di capire come funziona il sistema, a cercare di capire i nessi di causalità con le cause più svariate, dall’influsso solare agli influssi delle emissioni di gas serra, alla deforestazione. E tutto questo hanno cercato di modellizzarlo con un calcolatore”. Tale passaggio in queste ricerche è stato molto importante, ma per capire quanto sia stato importante bisogna partire da molto lontano, da Galileo: il primo a usare le condizioni di laboratorio.

Un laboratorio grande come il mondo
“Partiamo da Galileo. Il vero salto nella scienza è stato fatto con lui, perché tutta la scienza moderna ha fatto enormi progressi quando si è messa in laboratorio. Prima ci si accontentava di cercare delle regolarità in quello che presenta la natura. Con l’introduzione del laboratorio, in condizioni semplificate, si riesce per esempio a fare precise domande alla natura, e nel modello si ottengono precise risposte, magari semplificate, e se si riesce ad andare più a fondo, si riesce anche a dipanare la complessità della natura”. E qui arriva l’innovazione di Manabe e Hasselman: “Il problema però per i climatologi è che non si può descrivere il clima in un laboratorio reale. Allora, qual è stata la grande innovazione dei precursori? Non avendo la possibilità di lavorare in un laboratorio reale, hanno deciso di creare un laboratorio virtuale. Noi climatologi adesso utilizziamo dei computer all’interno dei quali mettiamo tutti i dati che ci servono, dall’atmosfera, ai mari, la biosfera, i ghiacci, il suolo eccetera, e simuliamo il comportamento del clima. Simuliamo l’evoluzione nel tempo del clima e vediamo per esempio come è andata la temperatura media globale negli ultimi 170 anni. E la cosa bella è che dentro questo sistema, nel computer, ci sono delle variabili che possiamo osservare in natura, come la temperatura su Milano, su Roma, su New York, per cui possiamo dire se un modello funziona o non funziona, perché ha un rapporto molto stretto con la realtà”.

Ricostruire il passato per trovare le cause del presente
“Attraverso questo metodo vediamo se ci sono dei modelli validi in grado di ricostruire il passato e poi, dopo che abbiamo trovato un modello valido, possiamo fare degli esperimenti che non potremmo fare in natura - perché nel modello hai il controllo di tutto. In questo modo abbiamo trovato dei modelli assolutamente validi per analizzare la temperatura media globale”. Una volta trovato il modello, quindi, si può fare in modo di simulare la temperatura media in altre condizioni rispetto a quelle reali. “Per esempio possiamo chiederci”, dice Pasini, “cosa sarebbe successo se gli influssi umani fossero stati fermi al 1850? Ebbene il modello ci fa vedere che almeno tutto il riscaldamento globale recente non ci sarebbe stato. Quelle che sarebbero semplici correlazioni, nel modello diventano un vero rapporto di causalità: e in queste condizioni vediamo che senza gli influssi umani la temperatura sarebbe stata sostanzialmente costante. E quindi ecco che il modello ci dà informazioni su chi è la colpa: perché se non ci fosse stato l’uomo con i suoi gas serra, la deforestazione, gli allevamenti intensivi, l’agricoltura non sostenibile, secondo il modello la temperatura non si sarebbe alzata. Senza questo modello non saremmo mai riuscite a vedere le cause, ma soltanto delle irregolarità”.

L’importanza delle innovazioni tecnologiche
Manabe e Hasselman sono stati i primi a scrivere dei pezzi di modello e alcune caratteristiche del sistema clima”, afferma Antonello Pasini. E il motivo per cui sono stati premiati ora per delle ricerche degli anni ‘60 è molteplice: “Da una parte, è ovvio che gli scienziati vengano premiati molti anni dopo, perché le ricerche diventano mature solo molti anni dopo; inoltre, l’accademia è stata sempre sensibile ai temi ambientali. E soprattutto è importante che alla vigilia della Cop26 abbiano pensato di mettere insieme un fisico teorico dei sistemi complessi come Giorgio Parisi con qualcuno che ha studiato un certo sistema complesso, cioè il clima - facendo entrare il clima stesso all’interno del dibattito scientifico”. Poi certo, la scienza è andata avanti dalle prime ricerche di Manabe e Hasselman, anche grazie alle nuove nuove tecnologie e a computer più potenti. “In questo modello devi racchiudere la terra in un grigliato che assomiglia a paralleli e meridiani”, dice Pasini “e più questo grigliato è fitto più rende precisa la ricostruzione e la previsione futura. Più è stretto, più vedi meglio le caratteristiche olografiche, distingui tra la terra e il mare. Ma nei primi modelli climatici, per esempio, l’Italia sostanzialmente non si vedeva, perché erano modelli a 250 km di risoluzione - e l’Italia, essendo più piccola in larghezza, spariva completamente dalle rilevazioni. Adesso abbiamo dei modelli climatici ogni 50 km, o anche meno. Adesso riusciamo a vedere anche determinati fenomeni, come fenomeni convettivi o uragani, che a 250 km non potevano essere osservati”.

Ricostruire il passato e vagliare il futuro
In che modo saranno utili questi modelli per il futuro che ci aspetta? “Oggi usiamo soprattutto modelli affidabili per la ricostruzione, mentre per quanto riguarda la previsione la faccenda è diversa perché dipende da più possibilità, da scenari di emissione e deforestazione, per cui noi climatologi diamo sempre un ventaglio di scenari - socioeconomici, di emissione o altro - e li analizziamo con il nostro modello. Il modello poi ci darà vari esiti, da quelli migliori, che per quanto riguarda il riscaldamento italiano potrebbero tenerci sotto l’aumento di 1,5 gradi centigradi, mantenendoci a livelli preindustriali, a quelli peggiori. Il metodo più o meno è rimasto lo stesso, i miglioramenti ci sono stati soprattutto nelle tecniche di risoluzione numerica”. Ecco spiegato il riferimento della frase di Parisi nel suo discorso al Parlamento: le nostre previsioni ci consentono di sapere quale sarà il futuro secondo determinate condizioni, ma ad altre condizioni le conseguenze sarebbero del tutto impreviste. Resta da vedere se questi Nobel significativi contribuiranno a mettere il clima al centro dei nostri discorsi pubblici e politici. Ma Pasini non ha una risposta per questo. “Noi sono trent’anni che facciamo rapporti con l’Ipcc e non siamo mai stati molto ascoltati”, afferma. “Ora è arrivata Greta Thunberg con i suoi e, come dico sempre io, ha fatto più lei in tre anni che noi in trenta. Ma sono anche questioni sociologiche e psicologiche, probabilmente anche l’economia è in un momento critico e avrà bisogno di una svolta. Tutto sommato ci si è mossi in una direzione importante”. Resta da vedere se sarà abbastanza, ma le ultime considerazioni prima della Cop26 lasciano intendere di no. Sarà sicuramente importante continuare a fare divulgazione. In ogni caso, è importante sottolineare ancora quello Pasini ama ricordare anche nel suo blog su Le Scienze dal nome bellissimo (Il Kyoto Fisso, in riferimento al famoso protocollo di Kyoto): “Questo Nobel è importante che sia stato dato a un fisico teorico insieme a dei climatologi, perché è la dimostrazione che il clima è importante dal punto di vista scientifico, ed è uno dei primi ambienti dove possiamo testare i nostri modelli”. 

Giovanni Peparello