Fonte sito IpccItaliaCmcc

Il Sesto Rapporto Ipcc sul Clima: "Agire ora"

Presentati gli esiti dei tre gruppi di lavoro degli studiosi e il rapporto di sintesi, ne emerge un appello generale al taglio delle fonti fossili e delle emissioni

Tre sono i messaggi centrali del Sesto Rapporto di Valutazione dell'IPCC sulla mitigazione dei cambiamenti climatici: gravità, urgenza e speranza. Il rapporto di sintesi del report indica poi che la prima cosa da fare per lottare contro la crisi climatica è la diminuzione delle emissioni e il taglio delle fonti fossili e che il momento per farlo è "adesso".

Struttura
Il nuovo rapporto comprende tre contributi dei gruppi di lavoro: il primo gruppo di lavoro è dedicato alle “basi fisico-scientifiche”, il secondo gruppo di lavoro agli “impatti, adattamento e vulnerabilità”, e il terzo alla “mitigazione”, tutti e tre i lavori confluiscono nel rapporto di sintesi. In parallelo, sono stati anche redatti tre rapporti speciali su tematiche specifiche: Rapporto su 1.5°C, Rapporto sugli ecosistemi terrestri ed il Rapporto su oceani e criosfera.

Tre parole chiave
Le conclusioni a cui gli scienziati sono giunti, sono state presentate da Lucia Perugini, ricercatrice Cmcc che partecipa dal 2003 ai negoziati sul clima fornendo supporto scientifico alla delegazione del governo italiano su temi riguardanti l’agricoltura, LULUCF (Land Use, Land- Use Change and Forestry) e REDD+ (Reducing Emissions from Deforestation and forest Degradation). “I messaggi sono riassumibili in tre parole: gravità, urgenza e speranza. - spiega Perugini – Gravità perché emerge dal rapporto l'importanza di mantenere l’aumento della temperatura al di sotto di 1,5°C rispetto ai livelli pre-industriali e siamo già arrivati al di sopra di 1°”. L'urgenza è data dal fatto che gli impegni messi in campo sono ancora insufficienti: “dobbiamo correggere le nostre traiettorie emissive e raggiungere il picco delle nostre emissioni entro il 2025, per evitare un overshoot (un aumento temporaneo delle temperature oltre 1,5°C)” afferma Perugini. Invece continua la ricercatrice: “siamo sulla strada che porta a un aumento della temperatura media globale che può raggiungere i 3,5°C, e questo rappresenta una minaccia per l'umanità nel suo complesso” avverte Perugini. Allo stesso tempo però il rapporto Ipcc presenta varie soluzioni applicabili in diversi settori per affrontare il cambiamento climatico: “la transizione dai combustibili fossili alle rinnovabili ridurrebbe l'inquinamento atmosferico riducendo al contempo le emissioni di gas serra. La gestione sostenibile delle foreste e dell'agricoltura, la protezione delle foreste, sono attività che possono assorbire anidride carbonica e apportare molti servizi ecosistemici che migliorerebbero le condizioni di vita di molte popolazioni. Tutte le opzioni devono essere attuate al massimo della loro capacità. Spesso assistiamo ai dibattiti che prendono in considerazione, come alternative, le possibilità di assorbimento delle emissioni (tramite rimboschimenti o tecnologie CCS - Carbon Capture and Storage) o la loro riduzione, oppure che creano una competizione tra una fonte di energia rinnovabile e l’altra. Ma scienza è chiara: dobbiamo sfruttare tutte le opzioni a disposizione e dobbiamo farlo ora”

Futuro dell'Europa se non si limita riscaldamento
Le conseguenze dell'innalzamento della temperatura al di sopra di 2° in Europa, le racconta Anna Pirani, autrice del Rapporto di Sintesi dell’AR6 IPCC, è a capo della TSU (Technical Support Unit) del WG1. “Con un riscaldamento globale di almeno 2°C e oltre, la regione Europea sperimenterà la combinazione di differenti cambiamenti climatici entro la metà del secolo, quali: l'aumento del riscaldamento, temperature estreme, l'aumento della siccità e dell'aridità nell’Europa centrale e meridionale e la diminuzione delle precipitazioni nell’Europa Meridionale e aumento nell’Europa settentrionale” spiega Pirani che mostra come nel rapporto vi sia un elenco delle azioni di adattamento e di mitigazione da compiere per limitare il riscaldamento climatico. 

Focus sul Mediterraneo
Piero Lionello, professore ordinario di Fisica dell’Atmosfera e Oceanografia presso l’Università del Salento e autore del secondo working group dedicato agli “Impatti, adattamento e vulnerabilità” è autore di un focus su Europa e area mediterranea. Dopo aver evidenziato come i cambiamenti climatici siano ormai evidenti su scala globale e regionale, ad esempio l'aumento delle temperatura dell'hot spot mediterraneo ora a 1,5° al di sopra del livello pre-industriale, o la siccità sempre più frequente, Lionello analizza gli impatti di questi cambiamenti. “Nell'area mediterranea gli effetti si vedono già negli ecosistemi marini, in quelli terrestri e in quelli di acqua dolce, nell'agricoltura, nella pesca, nel disagio termico, soprattutto quello urbano e nelle condizioni che favoriscono gli incendi”. I rischi sono quattro per l'Europa: ondate di calore, siccità in agricoltura, scarsità di risorse idriche nell'Europa meridionale e per quella centro-occidentale in caso di un aumento delle temperature al di sopra dei 3°, inondazioni costiere, fluviali e pluviali. L'area mediterranea presenta alcune caratteristiche di vulnerabilità – spiega Lionello – un'alta densità di popolazione, una crescente domanda di acqua da parte dell'agricoltura per l'irrigazione, un alto numero di persone in zone colpite dall'innalzamento del mare, un'elevata dipendenza dal turismo e la perdita di ecosistemi”. Per ciascun rischio Lionello porta esempi e dati, per quanto riguarda il livello del mare afferma: “nel Mediterraneo è aumentato di 1,4mm l’anno nel corso del XX secolo. L’incremento è accelerato alla fine del secolo e ci si attende continui a crescere in futuro a un tasso simile alla media globale, raggiungendo valori potenzialmente prossimi al metro nel 2100 in caso di un alto livello di emissioni. L’aumento del livello del mare continuerà nei prossimi secoli anche nel caso le concentrazioni di gas serra si stabilizzino. L’innalzamento del livello del mare ha già un impatto sulle coste del Mediterraneo e in futuro aumenterà i rischi di inondazioni costiere, erosione e salinizzazione. Le coste sabbiose strette che sono di grande valore per gli ecosistemi costieri e per il turismo sono a rischio di scomparsa”. Anche per quanto riguarda i ghiacciai alpini la situazione pare già molto compromessa: “In uno scenario con basse emissioni potremo conservare almeno il 30% dei ghiacciai alpini, altrimenti scompariranno totalmente alla fine di questo secolo” afferma Lionello. Anche in questo caso la parola d'ordine degli scienziati che hanno lavorato al secondo gruppo di lavoro è “tempestività”, “ora è il momento di agire”. 

Mitigazione 
Stesse parole spese dal terzo gruppo di lavoro, quello sulla “mitigazione”, presentato da Elena Verdolini. “Le emissioni continuano ad aumentare – afferma l'autrice del report, mostrando un grafico che rappresenta l'incremento delle emissioni dal 1990 ad oggi – non siamo sulla strada giusta. Però è anche vero che le azioni di città, regioni e nazioni per il clima stanno aumentando”. “Abbiamo anche molte tecnologie che possono aiutarci ad abbassare questo aumento delle emissioni in modo significativo, aiutando i paesi meno sviluppati a dotarsene” continua Verdolini. La mitigazione appunto. Verdolini parla poi dell'importanza di raggiungere lo zero netto di emissioni, "solo così possiamo stabilizzare le emissioni". "Se lo vogliamo raggiungere entro il 2050 allora, spiega la scienziata, dovremo ridurre del 43% le emissioni di gas serra entro il 2030. Se invece lo raggiungeremo entro il 2070 dovremo ridurle del 27%". Per farlo le soluzioni sono tante: dalle emissioni negative, alle rinnovabili fino alla riduzione della domanda di energia: "tutte le alternative possibili sono state valutate dal rapporto", assicura Verdolini. La prima mossa da fare però resta quella di "togliere fondi ai combustibili fossili" concludono gli scienziati che hanno calcolato il taglio di metà delle emissioni oggi costerebbe meno di 100 dollari per tonnellata di CO2. 

Claudia Balbi