Fonte Ministero per la Protezione civile e le politiche del Mare

Musumeci: la riforma del Codice di protezione civile e il ruolo dello Stato

La revisione del Codice di Protezione Civile, una nuova norma sulla ricostruzione e nell'immediato gli interventi contro la siccità, sono gli obiettivi del ministro Musumeci

Abbiamo intervistato il ministro per la Protezione civile e le Politiche del mare, Nello Musumeci, a pochi mesi dall'insediamento per chiedergli quali sono gli obiettivi generali del suo mandato. Ci siamo soffermati poi sulla questione centrale di questi giorni, la sicccità, (o “emergenza strutturale”, come l'ha definita il ministro) chiedendogli quali sono le strategie per riuscire ad affrontarla.

La riforma del Codice di protezione civile

Ministro, a fine novembre, in una delle sue prime uscite pubbliche, lei dichiarò che si sarebbe messo in ascolto per capire cosa era stato fatto e cosa si poteva migliorare. A qualche mese di distanza qual è l’obiettivo principale che si è dato?
L’obiettivo generale è fare della Protezione civile uno strumento di prevenzione oltre che di emergenza. Sino a ora la protezione civile nella sua articolazione è stata immaginata come lo strumento essenziale per intervenire sul territorio quando il danno è già compiuto. L’Italia d’altra parte non è una nazione propensa alla cultura della prevenzione; non so se si tratti di un fatto antropologico o di una scelta politica.

Come pensa di raggiungere questo obiettivo?
Per centrare l’obiettivo bisogna allargare la sfera di competenze della Protezione civile partendo da una revisione del Codice di protezione civile, che come è noto è stato adottato agli inizi del 2018. Il Codice necessita di una revisione, inserendo la concreta possibilità di integrare nuovi compiti che dovranno essere condivisi con altri Dicasteri. Stiamo lavorando con il Dipartimento di Protezione civile, ci incontriamo spesso con il Capo dipartimento, Fabrizio Curcio, per verificare assieme sin dove possiamo spingerci.

Può fornirci qualche altro elemento?
Non posso anticiparle elementi di novità mentre siamo in fase di elaborazione della proposta. Posso dirle però che ci stiamo muovendo sul fronte della prevenzione, della formazione e della comunicazione, che sono i tre grandi pilastri sui quali intendiamo muoverci nei prossimi cinque anni. E intendiamo farlo di concerto con le Regioni.

In che modo?
Attraverso il confronto costante. Non è un caso che abbia voluto istituzionalizzare l’incontro con la Commissione degli assessori regionali alla Protezione civile, perché ritengo essenziale il confronto con le articolazioni periferiche, non solo per le competenze concorrenti ma anche perché dal territorio emergono proposte e suggerimenti che in sede nazionale potrebbero anche sfuggire. Le Regioni devono sentire la presenza dello Stato, costante ed efficace, perché noi non siamo solo erogatori di risorse.

È un cambio di passo nella presenza dello Stato nei territori?
Noi riteniamo di dover accompagnare sul territorio i dipartimenti regionali e, laddove non riescano a raggiungere gli obiettivi, lo Stato in base al principio della sussidiarietà dovrà sostenere le Regioni. Aggiungo che in caso di gravi inadempienze lo Stato deve sostituirsi alle Regioni. Tuttavia devo riconoscere che tali inadempienze finora non si sono mai verificate.

Ci diceva che la comunicazione è uno dei tre pilastri del suo programma, e lo è anche nella revisione del codice. Si riferisce alla comunicazione del rischio?
Noi abbiamo il dovere di comunicare il rischio. Ogni cittadino deve avere la consapevolezza di vivere in un territorio con alta media o bassa esposizione al rischio. Informare il cittadino è un dovere prioritario. Nessuno deve poter dire “Io non sapevo.” Ecco perché la comunicazione è diventata un obiettivo del mio programma: attraverso i depliant, la direzione scolastica, le televisioni, la carta stampata, le esercitazioni. Sfruttiamo tutti i canali. 

Cosa si può fare per aiutare i sindaci dei piccoli comuni a comunicare?
Per quanto riguarda i sindaci ho riunito l’Ufficio comunicazione del Dipartimento e abbiamo condiviso la necessità di una comunicazione che sia omogenea a carattere nazionale anche per i piccoli centri. Stiamo verificando i costi e l’aspetto logistico della distribuzione e pensiamo di puntare soprattutto sui ragazzi delle scuole medie, rendendoli l’anello di collegamento fra le istituzioni e le famiglie. Sappiamo che della protezione civile si parla soltanto quando c’è una catastrofe, ma, ripeto, abbiamo il dovere di rendere i cittadini consapevoli del livello di rischio del territorio in cui vivono. E questo credo che sia un dovere etico, prima ancora che istituzionale.

Un altro dei pilastri è la formazione, immagino stia pensando al volontariato.
Il volontariato è una delle nostre più preziose risorse, l’Italia primeggia rispetto all’Europa. Un volontario ben formato diventa un anello preziosissimo nella filiera del sistema nazionale di protezione civile, mentre un volontario non sufficientemente preparato può diventare un problema per sé e per gli altri. Per questo motivo, il compito della formazione del volontariato resta sempre in capo alle Regioni, ma noi come Stato abbiamo il dovere di verificare in che modo la formazione venga assicurata. Nel caso in cui dovessero esserci dei problemi legati alla capacità autonoma delle Regioni, dovremo operare in soccorso.

Che tempi prevede per la revisione del Codice?
Contiamo di elaborare la proposta di revisione entro il mese di marzo per poi presentarla al Consiglio dei Ministri.

Ricostruire più facilmente e velocemente

Tra le sue deleghe c’è anche Casa Italia, sul tema della ricostruzione cosa c’è da fare?
É necessario mettere ordine in un settore assolutamente disordinato e caotico, stiamo pertanto lavorando per varare una proposta normativa omogenea che va in questa direzione.
Le porto un esempio: in Italia non è mai stato definito il limite di durata di una ricostruzione che impiega denaro pubblico. In alcune aree non sono bastati quarant’anni di lavoro. Non è possibile continuare così.

Come intendete far fronte ai tempi lunghi della ricostruzione?
Nella proposta di legge a cui stiamo lavorando immaginiamo che dieci anni potranno essere il termine ultimo per poter costruire utilizzando i benefici dello Stato. Tutto ciò in deroga a norme vigenti, come le autorizzazioni ambientali per esempio, che sono quelle che maggiormente impantanano le procedure. Il fattore tempo in queste operazioni non è marginale. 

Che ne sarà della figura del commissario?
Il commissario ha un senso soltanto se agisce con poteri derogatori e straordinari, altrimenti ci si potrebbe rivolgere a un sindaco o a un Presidente della Provincia o a un Presidente della Regione. Da questo punto di vista io credo che ci sia qualcosa da rivedere, perché il commissario non sempre gode di poteri straordinari e l’istituto di commissariamento non sempre si è rivelato agile e veloce. Da questo punto di vista la proposta di legge contempla alcune norme che mettano il commissario nelle condizioni di poter lavorare in autonomia rispetto alle istituzioni del territorio, anche se il confronto non deve mai venire meno, ma con quella marcia in più che finora credo sia mancata.

Quali immagina debbano essere le caratteristiche di un commissario?
Servono commissari che abbiano capacità organizzativa, che conoscano il territorio, e che godano di un rapporto fiduciario con il Governo nazionale. Però la norma sulla ricostruzione tiene conto anche di alcuni anelli deboli legati alla figura e alla competenza dei Commissari. Ci sono troppi Commissari in Italia, per risultati che non appaiono soddisfacenti nel rapporto costo-tempo.

Non c’è solo il tema della ricostruzione materiale, ma anche quello della rigenerazione delle comunità.
La gente deve avere costantemente alimentata la speranza di tornare nei propri luoghi, nei luoghi dei propri genitori, dei propri avi e delle abitudini. La salvaguardia del concetto di identità passa anche attraverso una ricostruzione efficace e limitata nel tempo.

Quando sarà pronto il progetto di legge?
Entro giugno, e poi lo confronteremo con le Regioni e con gli altri soggetti, compreso il mondo scientifico. Ho già incontrato i vertici degli ordini professionali di geologi, ingegneri, architetti, agronomi, geometri e periti agrari. Credo che ne uscirà una proposta coordinata, capace di potere finalmente consentire a vaste aree della nazione di tornare a una vita nella normalità.

Giriamo pagina, ma non troppo. C’è una questione legata al Codice degli appalti, che rileva spesso spesso anche il Capo Dipartimento Fabrizio Curcio, serve costruire uno strumento ordinario per poter operare in emergenza. Che ne pensa, si sta muovendo anche in questa direzione?
Nel Consiglio dei Ministri ho evidenziato questo tema al collega Salvini, anche se da questo punto di vista egli era già sufficientemente motivato all’esigenza di prevedere corsie preferenziali alle procedure di appalto, legate alla Protezione Civile o a opere emergenziali. Voglio sperare che gli Uffici si stiano comportando di conseguenza, ma lo vedremo tra qualche settimana. In sostanza, non si può pensare di applicare a una ricostruzione o a un’opera di prevenzione strutturale le stesse norme in regime ordinario. Sarebbe una follia.

Affrontare il cambiamento climatico

Il problema più di stretta attualità in questi giorni è quello della siccità. Per affrontare questo tema il Governo ha istituito una cabina di regia interministeriale. Mentre aspettiamo di conoscere nel dettaglio il piano delle attività, dal suo punto di vista quali sono gli interventi da realizzare?
Mi preme ribadire che il tema della siccità è incombente e bisogna avere chiaro che oggi la siccità è un fatto ordinario, non è un fenomeno temporale. E lo è da almeno cinque o sei anni. Nel nostro Paese siamo abituati a chiamare emergenza anche i fatti ordinari. Per capirci meglio potremmo definire la siccità come un'emergenza strutturale. Vale a dire un fenomeno che sconta anni di disinteresse e mancata programmazione. Venendo alla sua domanda servono interventi immediati e di medio e lungo periodo. Da subito si può recuperare l’acqua piovana, nel medio periodo dare corso alla manutenzione delle dighe insabbiate per riportarle alla originaria capienza e riqualificare le reti di distribuzione urbane soprattutto negli Appennini; nel lungo periodo costruire invasi, realizzare vasche di contenimento lungo le aste fluviali, consolidare gli argini, contrastando in questo modo anche il dissesto idrogeologico. Ritengo inoltre che sia quasi un delitto utilizzare acqua potabile per coltivare le nostre produzioni agricole, sono convinto che si debba usare acqua depurata. Vorrei poi spingermi a dire anche che sono troppi gli enti che in Italia si occupano di acqua. Occorre semplificare, concentrando le responsabilità, perché quando c’è una folla non c’è mai un colpevole.

Il ministro Musumeci sottolinea poi la presenza di un altro problema strutturale, quello degli incendi, legato a doppio filo a questa siccità che ci attanaglia: 
Rimane il problema dei servizi antincendio in estate – e rimane il grosso e incomprensibile problema del numero scarsissimo di canadair e dell’impossibilità di poterne avere di nuovi in tempi ragionevolmente brevi, a causa della gestione del monopolio della fabbrica che li produce. Ma, siccome noi operiamo con una prospettiva di visione di cinque anni, riteniamo che di volta in volta tutte le lacune possano essere colmate, e tutti i problemi affrontati. Non manca la nostra buona volontà, l’attenzione della premier e la collaborazione dei colleghi ministri. E naturalmente potremo far leva sulle competenze e sulle esperienze di un Dipartimento che si è formato nel tempo, raggiungendo livelli di qualità degni di apprezzamento.

Luca Calzolari