terremoto Amatrice 2016 (foto: ©Tomoko Kikuchi)

Prevenzione sismica: "Manca una strategia". Il manifesto degli esperti

Anche in tempo di Covid non può venir meno l'attenzione sul rischio sismico: studiosi ed esperti inviano al Governo un "Manifesto strategico" per chiedere una prevenzione diversa, basata su priorità e conoscenze

Un appello critico, "La prevenzione sismica in Italia: una sconfitta culturale, un impegno inderogabile" (qui) lanciato a inizio 2019 da un gruppo di sismologi, geologi, ingegneri sismici, docenti e studiosi per richiamare l'attenzione sul tema della riduzione del rischio sismico nel nostro Paese, cui è seguito, nel luglio 2020, un ulteriore Manifesto che ne integra i contenuti seppur con un taglio più propositivo (Manifesto per una strategia nazionale di riduzione dell’impatto dei terremoti sulle popolazioni esposte a maggior rischio dopo cent’anni di fallimenti). Due documenti elaborati e sottoscritti da addetti ai lavori ed esperti del settore (*) fortemente preoccupati per la "perseverante mancanza in Italia di una vera strategia di difesa e contenimento dei danni sismici, nonostante l'elevato grado di pericolosità sismica del nostro territorio".

Dall'analisi alla proposta
L’appello originario (un urgente richiamo per l’avvio immediato di efficaci interventi di prevenzione sismica) è stato inviato nel febbraio 2019 al presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ha manifestato il proprio apprezzamento per il documento “espressione di un patrimonio integrato di conoscenze e di uno spirito di impegno civile particolarmente significativo” e ne ha disposto l’inoltro al presidente del Consiglio, al ministro dell’Ambiente ed al capo del Dipartimento della Protezione Civile per le rispettive valutazioni, dai quali però ad oggi non è arrivato alcun riscontro.
Pertanto, anche sulla scorta delle nuove e più concessive norme sul sisma bonus (già duramente contestato nell’appello originario), i proponenti hanno dato vita al nuovo manifesto integrativo e lo hanno sottoposto all’attenzione del presidente del Consiglio Giuseppe Conte e dei ministri dell’Interno, delle Infrastrutture, dell’Ambiente, dei Beni Culturali e della Coesione territoriale.

Contenuti e motivazioni di questo secondo documento ci vengono illustrati dal dottor Roberto De Marco, geologo, già direttore del Servizio sismico del Dipartimento dei Servizi tecnici nazionali della Presidenza del Consiglio, e dal professor Umberto Allegretti, giurista, già professore ordinario di Istituzioni di Diritto Pubblico presso l’Università di Firenze.


Dottor De Marco, perché un nuovo manifesto dopo il primo appello? Cosa chiedete al Governo e perché è importante continuare a sollecitare le istituzioni su questo tema anche in un periodo tanto drammatico su altri fronti?
Con l’Appello dello scorso anno si voleva richiamare l’attenzione sul tema dell’efficacia dell’iniziativa sismabonus; si sollecitava una verifica in tal senso, si chiedeva che nell’approccio al tema della prevenzione, finalmente sostenuta dalla disponibilità di risorse pubbliche, si procedesse definendo dove, cosa e come fare per raggiungere quale obiettivo, in quanto tempo, con quante risorse e sotto la responsabilità di quale soggetto. Si rappresentava così la necessità di definire una strategia, da preferire ovviamente alla totale estemporaneità del bonus terremoto affidata solo alla casuale adesione dei cittadini di un territorio grande quasi come l’intero Paese. Il supporto offerto dalla scienza e il significato di tanta conoscenza ed esperienza maturata sull’argomento veniva del tutto ignorato, sacrificato a un virtuoso spontaneismo. Nessun segno d’attenzione per l’Appello da parte Governo, impegnato piuttosto a concepire un nuovo provvedimento che, nonostante quattro anni d’insuccesso, ha elevato il sisma bonus all’incredibile dimensione del 110% e lo sostiene con l’accattivante meccanismo della cessione del credito di imposta. Ma i termini essenziali del problema non mutavano, né le ragioni della inefficacia dell’iniziativa. Così si è cercato di entrare con un Manifesto propositivo nel merito del problema. Una diversa prevenzione è possibile concepita nei termini strategici a cui prima mi riferivo, fondata sull’esperienza e sulla conoscenza, sostenuta dalla individuazione di priorità, in grado di farsi carico con la necessaria urgenza delle condizioni di drammatico rischio presenti in alcune definite aree del Paese.

Oltre alla mancanza di visione strategica in tema di prevenzione sismica, voi lamentate anche l’assenza di un programma coordinato di reale riduzione del rischio sismico, parlate di “cent’anni di fallimenti e di prevenzione a costo zero” e di uno “Stato incapace di scelte concrete per ridurre vittime e perdite materiali”. Non avete usato giri di parole…
L’Appello è stato redatto nel 2019 prendendo spunto da un articolo che avevo scritto per un importante pubblicazione della Società Italiana di Geologia Ambientale (SIGEA) dal titolo “Rischio sismico in Italia: analisi e prospettive per una prevenzione efficace in un paese fragile”. Quel titolo non lasciava scampo: era forse presente in quel momento una prevenzione efficace nel Paese? Una risposta positiva era impossibile. La prevenzione affidata per 100 anni all’azione della classificazione del territorio/adozione della normativa tecnica aveva un limite enorme -di cui si è avuta sempre una piena consapevolezza- per l’essersi da sempre rivolta solo al nuovo da costruire lasciando immutata la vulnerabilità del patrimonio edilizio preesistente. Quella prevenzione era stata portata avanti a “costo zero” per lo Stato che sembrava preferire risarcire il danno piuttosto che investire nella sua riduzione.
Nella prospettiva di diventare la “prevenzione per il nuovo secolo”, il super bonus terremoto finanziato dallo Stato è stato proposto quale soluzione del problema senza tuttavia una verifica di efficacia, senza un chiaro obiettivo. Non si possono usare giri di parole per un problema così serio, quando la posta in gioco è quella di evitare perdite e danni nelle dimensioni inaccettabili imposte dai 4-5 terremoti distruttivi (certificati da una robusta statistica) che ogni secolo colpiscono aree ben note. Vorrei ricordare che dei 28 terremoti più forti che hanno colpito il paese nell’ultimo millennio, compresi nell’intervallo di magnitudo 6.65 - 7,32 (INGV - Catalogo parametrico forti terremoti), nessuno ha avuto un epicentro ad una latitudine superiore a quella della Valnerina. Questo ovviamente non significa che al disopra di tale latitudine non vi siano alcune situazioni ad elevato rischio anche per magnitudo più basse, ma piuttosto che proprio l’adozione di un approccio alla prevenzione per priorità servirebbe per evidenziarle.


Professor Allegretti, lei è un giurista, quali sono le maggiori carenze della nostra normativa in tema di rischio sismico e prevenzione?
Da tempo mi occupo di questa materia sotto l’aspetto giuridico (avendo tra l’altro commentato su una nota rivista scientifica il codice della protezione civile del 2018), e collaboro con il gruppo di specialisti che ha redatto sia l’Appello che il Manifesto. L’attuale legislazione in tema di rischio sismico si limita al soccorso nelle emergenze e alla ricostruzione, mentre manca finora la parte che definisca e obblighi a un’azione di prevenzione. il problema è stato solo affrontato in alcuni documenti, non aventi per sé valore normativo ma solo propositivo, che fanno però sorgere qualche speranza per più concrete previsioni future. Pochi cenni alla prevenzione sono, allo stato attuale, dedicati al tema nelle linee guida discusse dal Parlamento nello scorso ottobre, ora in corso di presentazione da parte del Governo alla decisione degli organi europei, in vista del Recovery Plan (meglio chiamato Next Generation EU). Al riguardo, il gruppo di autori del Manifesto ha prospettato un emendamento col quale tra le priorità di spesa dei fondi europei assegnati all’Italia dovrà figurare una destinazione alla prevenzione sismica. Ne verrà tenuto conto?

Quindi voi non credete che questo sistema di bonus possa portare a un diffuso miglioramento delle condizioni strutturali dell’edificato italiano o a una maggiore consapevolezza del cittadino rispetto al rischio sismico?
I cittadini sono poco consapevoli dei termini in cui si presenta un’azione di prevenzione. Ma è l’azione pubblica che deve dar loro un orientamento. La normativa sul sisma bonus, di natura fiscale, se può incentivare l’adeguamento sismico di vecchie e nuove costruzioni di tipo abitativo, è troppo settoriale per affrontare pienamente il problema della prevenzione dai terremoti. Esso è ritagliato sulla dimensione della singola costruzione e affidato all’iniziativa dei singoli proprietari e dei tecnici di loro fiducia e non si traduce in una prescrizione relativa ai piani urbanistici, per chiamarli nella loro impostazione complessiva a fare prevenzione nelle zone soggette a rischio sismico, specialmente dove è più elevato, considerando non solo gli aspetti tecnici che dovrebbero muovere le azioni di prevenzione ma anche quelli demografici e sociali.
Credo dunque che le denunce e proposte contenute nell’Appello e nel Manifesto debbano avere il proprio riflesso in norme giuridiche adeguate, il che non è finora avvenuto se non con qualche allusione nella normativa vigente. Da ciò il nostro insistere su un atteggiamento critico.

Dottor De Marco, fra le vostre richieste anche l’aggiornamento della mappa del rischio sismico e l’adozione di un nuovo concetto di prevenzione, basato su classi di priorità: come immaginate la prevenzione del futuro?
Ad oggi manca ancora purtroppo una mappa del rischio sismico unica e aggiornata a tutte le numerose conoscenze disponibili, che evidenzi chiaramente le aree del paese che hanno maggiore probabilità di subire vittime e danni gravi a causa di futuri terremoti e che consentirebbe di delineare un solido quadro di priorità d’intervento. La prevenzione sismica dovrebbe diventare, già da oggi, parte integrante della preparazione all’emergenza nel momento in cui la valutazione dei fattori di rischio trovassero una “puntuale” definizione e descrizione di un territorio “letto da vicino”. Poi questa condizione si dovrebbe trasformare in capacità d’intervento per ridurre le vulnerabilità.

Professor Allegretti, come si diceva sopra, rispetto al primo appello, questo vostro secondo manifesto è più propositivo, voi parlate infatti di una “inattesa disponibilità al cambiamento” e di una “responsabile volontà di mettere a disposizione maggiori risorse”. Qualcosa si muove quindi?
Qualche speranza in questo senso viene dal pregevole scritto Piano Sud 2030 presentato dal Ministro per il Sud e la Coesione territoriale Provenzano, che però non ha ancora avuto un adeguato seguito normativo e amministrativo. Il piano propone una politica di mitigazione del rischio su cui convogliare fondi ordinari di bilancio, tenendo conto delle zone a più alta pericolosità e vulnerabilità (prima di tutto nella dorsale appenninica), e individuando ordini di priorità degli interventi dedicati ad azioni omogenee innovative e coerenti con l’esposizione al rischio dei luoghi. Un piccolo passo avanti.


Dottor De Marco, nel 2021 dovrebbero arrivare dall’Europa i fondi per il finanziamento del cd Recovery plan, fondo speciale per la ripresa economica, che andrà a finanziare progetti di riforma strutturale: quanta prevenzione sismica c’è nel piano elaborato dall’Italia?
Il dibattito sul Recovery Plan è cominciato con il Piano Colao che avrebbe dovuto illuminarne il percorso. La messa in sicurezza del territorio in quel documento è solo un problema per la “implementazione delle infrastrutture di interesse strategico”. Invece l’intero punto 35 è dedicato al dissesto idrogeologico e al verde. Il terremoto mai menzionato. I 70 miliardi di danni e le seicento vittime nei primi vent’anni di questo secolo, non sembrano essere capaci di ricordare le dimensioni del problema sismico di questo Paese. Nel successivo dibattito sulla destinazione delle risorse europee non è emerso un approfondimento sul tema, anche se cifre enormi sembrano genericamente destinate ai bonus che riguardano “la casa”. Ancora una volta nessuna attenzione al rischio sismico incombente, nessuna riflessione in termini di efficacia dell’azione per ridurre l’impatto dei futuri terremoti dal quale emergerebbero probabilmente risultati imbarazzanti. Nessuna considerazione per la tutela del territorio nel suo complesso, né tantomeno per l’esigenza di conservazione dei “beni culturali” nell’accezione più ampia del termine, paesaggio quindi compreso. Questo silenzio fa ritenere che si sia incredibilmente affermato il convincimento che in Italia ci sia in atto un’iniziativa capace di risolvere il problema. Semplicemente così non è.


In queste settimane si stanno creando le basi per un ambizioso progetto che porterà alla definizione di un “Piano di riqualificazione sismico-energetica integrata (RISE)” e la creazione di un’unità operativa permanente indipendente in grado di sopravvivere all’alternarsi dei Governi. Cosa ne pensate? Questo va nella direzione delle vostre istanze?
Forse un passo avanti si può percepire nel fatto di voler confezionare un “piano” riconfigurando quella che ora è solo “un’iniziativa”. Tuttavia il RISE eredita sostanzialmente i fondamentali che definiscono il supersismaecobonus 110% che ne è lo strumento esecutivo. In quell’iniziativa, nelle logiche che ad esso fanno capo, il terremoto resta solo un buon argomento, ma la sua vera missione è quella di risollevare l’edilizia in profonda crisi. Proposito encomiabile rispetto al quale non si può tuttavia immolare un tema drammatico come la riduzione di un devastante rischio sismico presente in alcune aree dove è urgentissimo intervenire. I parametri su cui converge una smisurata e potentissima lobby di portatori di interessi (ovviamente legittimi) sono incardinati irrinunciabilmente sulle smisurate dimensioni dell’iniziativa (quasi tutto il paese, dai castelli agli edifici collabenti (ruderi) passando per seconde, terze e quarte case) per poter assurgere a strumento di una politica espansiva che fa bene al PIL. Per quanto riguarda la così detta unità operativa permanente indipendente, c’è da dire che tale indipendenza non esiste negli ordinamenti della nostra amministrazione pubblica. Credo che si tratti piuttosto di trovare la “giusta distanza” dalla politica. E questa non è certamente una proposta originale. Si dimentica infatti che vent’anni fa questa condizione si concretizzò: la protezione civile divenne Agenzia nazionale che avrebbe avuto -posso testimoniarlo- proprio una profonda riconsiderazione dell’impegno per una prevenzione efficace. Durò pochissimo, il primo provvedimento del nuovo Governo fu la cancellazione dell’Agenzia senza che venissero fornite motivazioni ufficiali, ma dal confronto politico trapelarono le ragioni: un eccesso di autonomia. Così fu ripristinato il Dipartimento presso la Presidenza del Consiglio, come sempre privo di qualsiasi autonomia, ma con un nuovo compito: la gestione dei “grandi eventi”. E la promessa di prevenzione tornò solo a inseguire stancamente i terremoti, sempre solo subiti mai attesi, proprio perché quella promessa si era persa.

Dottor De Marco come si diventa comunità resiliente rispetto al rischio sismico?
Prima di tutto è necessario ottenere una partecipazione motivata: dare ai cittadini la possibilità di avere la piena consapevolezza del livello di rischio a cui sono esposti, una cruda rappresentazione delle conseguenze ad esso connesse e di quanto necessario fare per contenerlo nei limiti dell’accettabilità. Occorre utilizzare gli insegnamenti dell’esperienza, le conoscenze, rinunciando alla propensione a dimenticare, passata la paura, quanto la storia e la cronaca ogni volta ci consegnano come monito. Sono questi, gli ingredienti fondamentali per una resilienza di sistema

E infine, la situazione Covid sta mostrando le molte e opposte facce della nostra capacità di fronteggiare le emergenze: volendo fare un parallelo con la gestione delle calamità del recente passato c’è qualcosa di comune che balza agli occhi ?
Era radicato, fino a qualche mese fa, il convincimento che il terremoto fosse la peggior condizione che la coincidenza tra natura inesorabile e antropizzazione irresponsabile ci poteva riservare. Lo denunciavano i numeri. Poi è arrivato il virus della cui capacità distruttiva non avevamo conservato il ricordo dei cinquanta, forse cento milioni di morti della Spagnola di un secolo fa. Una cosa viene subito alla mente: per i terremoti non c’è un vaccino; forse solo una terapia per rendere meno distruttivo l’istantaneo emergere della patologia. Si chiama prevenzione, preparazione all’emergenza, della quale abbiamo fin qui parlato in toni fortemente critici. Sarebbe importante poterli presto superare.

patrizia calzolari

(*) Sottoscrittori del Manifesto: Roberto De Marco, Emanuela Guidoboni, Gianluca Valensise, Teresa Crespellani, Elisa Guagenti Grandori, Vincenzo Petrini, Umberto Allegretti, Fabio Sabetta, Giovanni Manieri