Prevenzione sismica, "sconfitta culturale e impegno inderogabile": un nuovo forte appello dalla comunità scientifica

Un appello, articolato e circostanziato, sulla situazione della prevenzione sismica in Italia e sull'efficacia del sismabonus. Proposto da 17 esperti del settore, il documento, nel giro di breve, ha già raccolto l'adesione di altri 140 sottoscrittori, fra i quali Carlo Doglioni, Presidente INGV

Lanciato a fine dicembre 2018 da 17 proponenti fra accademici, geologi, ingegneri, studiosi ed esperti del settore, il documento "La prevenzione sismica in Italia: una sconfitta culturale, un impegno inderogabile" ha già visto, ad oggi, circa 140 adesioni. Si tratta di un documento nato per richiamare l'attenzione e sollecitare il consenso di un ampio pubblico sul tema della riduzione del rischio sismico nel nostro Paese, tema sempre di stringente e troppo spesso tragica attualità, con cui tutti gli italiani, seppur in misura diversa, sono chiamati a confrontarsi. L'Italia è infatti un Paese estremamente fragile, esposto a praticamente tutte le tipologie di rischi derivanti da eventi naturali, e fra questi, il più devastante, il rischio sismico: dal 2000 ad oggi infatti, (quindi un lasso di tempo brevissimo) i terremoti in Italia (Molise 2002, L'Aquila 2009, Emilia 2012, Centro Italia 2016-17, Ischia 2017) hanno già causato 667 vittime e 60 miliardi di danni.
Ispiratore e promotore del documento, assieme a Teresa Crespellani, Elisa Guagenti, Emanuela Guidoboni e Vincenzo Petrini, è il Dott. Roberto De Marco - geologo, per molti anni direttore del Servizio Sismico presso il Dipartimento dei servizi tecnici nazionali della Presidenza del Consiglio dei ministri - a cui abbiamo chiesto di illustrarcene motivazioni e contenuti:

Dott. De Marco, una nuova iniziativa rivolta alla prevenzione sismica in Italia: come e da quali esigenze è nato questo documento e a chi si rivolge?
«La sua domanda trova riscontro nell'ampiezza del panorama culturale al quale il documento si rivolge. I promotori dell'iniziativa hanno deciso di intervenire, per lunga e specifica competenza, su un argomento assai critico per il Paese e in base all'obiettiva costatazione della mancanza di una strategia per affrontarlo. L'unica strada percorribile è quella di appellarsi a quelle culture che hanno certamente cose da dire. Proposte e argomentazioni, per impegnare il governo a esprimere un percorso utile a trovare una via d'uscita da una situazione che fa pensare che in questo Paese, così ricco di conoscenza riguardo alla sua sismicità, i terremoti non siano attesi ma piuttosto tragicamente subìti.
Nella difesa dai terremoti, il termine strategia ha un significato ben preciso, definito dalle dimensioni assunte dal problema e dalla circostanza che in discussione vi sono la vita umana, enormi perdite economiche ed emergenze d'inestimabile significato culturale. È bene allora ricordare che l'ultimo documento strategico in questo senso fu presentato quarant'anni fa, pochi giorni dopo il terremoto dell'Irpinia, da Franco Barberi e Giuseppe Grandori. Il quadro rappresentato da quella dura "lezione" che il terremoto aveva impartito al Paese (quasi tremila vittime e oltre duecento comuni distrutti) non lasciava scampo: andavano intraprese delle iniziative di riorganizzazione del settore, andava avviato un incisivo intervento di prevenzione. Poche cose di quel disegno vennero poi attuate ,e ancora dopo, quasi tutte oggi cancellate.
Così per la quantità dei terremoti che si sono susseguiti e per la dimensione del loro inaccettabile impatto sul territorio, è oggi come allora necessario parlare di una tragica emergenza, dell'impossibilità di rimandare ancora l'avvio di una meditata azione d'intervento che abbia per l'appunto un significato strategico. Un'iniziativa che esca della logica di una manciata di promesse velleitarie lanciate sulle macerie dell'ultimo disastro, con la coscienza opaca per aver disatteso ripetutamente quel mitico e utopistico impegno a "mettere in sicurezza il territorio come più importante opera pubblica del Paese"».


Il titolo del vostro documento già ne anticipa i contenuti: la prevenzione sismica (quella fatta sino ad ora) viene infatti definita una "sconfitta culturale": perché?
«Quella che abbiamo chiamato "sconfitta culturale" sta tutta in un confronto che non lascia margini d'incertezza: è la distanza assai significativa che separa la dimensione della specifica conoscenza, i livelli disponibili e consolidati di scienza e tecnica, e ciò che si riesce a trasferire in azione di prevenzione. Naturalmente per realizzare questo è essenziale anche un ripensamento del quadro istituzionale e organizzativo di settore. La sconfitta culturale sta anche nell'"assenza" di una visione di contesto ampia del tema, che emerge dal fatto che si guarda al problema della prevenzione nella dimensione unica del singolo edificio e non del territorio nella sua scomposizione di criticità. Se ovviamente la riduzione della vulnerabilità dell'edificato abitativo ha una valenza centrale nel problema, la mancanza di una visione territoriale ricorda quanto accadeva negli anni '50 della guerra fredda, per il timore dell'olocausto nucleare, quando i ricchi americani si costruivano sotto casa un rifugio antiatomico. È una visione a scala individuale, che culturalmente trova una sintesi nell'espressione "dal terremoto non ci si salva da soli" come spesso ci ricorda Teresa Crespellani».

In Italia disponiamo di un'ampia conoscenza in tema di rischio sismico nei diversi ambiti di azione, dalla geologia strutturale, all'ingegneria sismica, dalle nuove tecnologie di protezione, prevenzione e adeguamento sismico alla storia della sismicità, e purtroppo anche di una corposa casistica: ciononostante ad ogni forte scossa segue una tragedia. Perché è così difficile fare prevenzione sismica nel nostro Paese?
«E questa forse la domanda più difficile alla quale dare risposta. Potremmo certamente addossare responsabilità in termini generali alla politica, ai governi che si sono succeduti. Ma non si può non tener conto del fatto che la domanda di sicurezza che viene dai cittadini nei confronti di un rischio reale e concreto come quello sismico è comunque bassa, soprattutto se confrontata con altri tipi di rischio che pur essendo estremamente più limitati, ottengono risposte immediate dalla politica.
Superata rapidamente la fase del dopo terremoto, che le popolazioni vicine e lontane vivono con apprensione e partecipazione, la lettura del rischio, in molte aree ben noto, non è percepita nella sua reale dimensione. Possiamo dire di averle provate tutte le strade: nelle scuole, nelle case, sulla stampa, in Tv e più recentemente sui media. Forse lo sforzo fatto per sensibilizzare, seppur importante, è stato insufficiente. Ma a questo punto è probabile che la soluzione del problema stia in gran parte altrove, che debba essere collocata a un diverso livello di attenzione. È necessario uscire dalla genericità nel confronto tra cittadino e terremoto, che non può poggiare solo sul ricordo di quanto successo in quegli stessi luoghi 50, 100 o 200 anni prima».

Quindi cosa occorrerebbe fare per migliorare e rafforzare la percezione del rischio nel cittadino?
«Credo che sia necessario un coinvolgimento collettivo, partecipativo della popolazione rispetto all'attesa di un evento e della risposta che il territorio in quel frangente sarà in grado di dare. D'altronde questo è un segmento di conoscenza e di partecipazione assolutamente carente. Si fa fatica ad accettare che in un Paese dai tanti terremoti manchi una pianificazione d'emergenza che non si limiti all'enorme (spropositata) responsabilità data ai sindaci nella predisposizione di via di fuga, aree di ammassamento, e poco più. Il problema andrebbe risolto a livello di cultura di protezione civile, superando la disarticolazione tra emergenza e prevenzione. L'emergenza andrebbe interpretata come quel momento in cui, al manifestarsi del fenomeno, gli elementi di criticità latente (vulnerabilità) dei vari sistemi (abitativo, infrastrutturale, sanitario, reti e servizi, etc.) mostrano la loro capacità di risposta. Le cosi dette nuove tecnologie sono in grado di proporre scenari di evento affidabili, individuando ed ordinando in termini di priorità le criticità con cui doversi confrontare nell'emergenza. Una straordinaria pubblicità (capacità di coinvolgimento attraverso una serrata azione di comunicazione partecipativa) dei caratteri dell'evento incombente, riferita ad ambiti di ben altre dimensioni che non quella comunale, potrebbe divenire la chiave di volta di un atteggiamento diverso, aggregativo di una comunità fatta di cittadini virtuosi che condividono l'obiettivo di ridurre "la prossima volta" l'impatto. Un obiettivo da conseguire passo dopo passo a livello di collettività, in grado di ottimizzare la risposta in emergenza. Una strada promettente ma molto impegnativa rispetto alla quale le opportunità offerte dall'introduzione di comportamenti resilienti, ora in auge, possono trovare un idoneo terreno di sviluppo di sistema piuttosto che individuale, solo se vi è la possibilità di prefigurare l'evento con cui doversi confrontare».

Pur apprezzandone l'intenzione originaria, cioè quella di investire in prevenzione, il vostro documento è piuttosto critico nei confronti del sismabonus, l'agevolazione fiscale prevista dallo Stato a favore di tutti i cittadini che vogliano verificare ed eventualmente sanare o migliorare le problematiche di stabilità e sicurezza sismica dei propri immobili. Può riassumercene le ragioni?
«Le ragioni sono molteplici, volendo riassumerne le principali direi: la mancanza di una pianificazione dell'intervento fondata su priorità, la quantità degli interventi a discapito della loro finalizzazione, la mancanza di controlli e il messaggio deviante legato a questa iniziativa, e cioè che si possa avviare a soluzione il problema del rischio sismico in Italia senza una visione complessiva d'intervento sul territorio.
I terremoti di quest'inizio secolo avrebbero dovuto segnare un momento di svolta nell'azione di prevenzione. Il completamento della classificazione sismica del territorio in zone a diversi livelli di sismicità, le perdite inaccettabili e gli enormi costi per le ricostruzioni dei terremoti dell'Italia centrale, avrebbero dovuto costringere a una riflessione sulle politiche di prevenzione, sulla formulazione finalmente di una strategia. Di buon auspicio è stata la decisione da parte dello Stato di superare "la prevenzione a costo zero", che ha incredibilmente contraddistinto, salve modeste eccezioni, un intervento ultracentenario. La delusione invece ha preso le sembianze di un'unica iniziativa , il "sismabonus", incentrata nella concessione di una detrazione fiscale da parte dello Stato che, a dispetto del suo titolo, potrà magari raggiungere altri obiettivi (sostegno all'industria delle costruzioni ad es.) ma non certo quello spropositato di "mettere in sicurezza il territorio", e nemmeno quello più consapevole di proteggere un poco meglio le comunità più esposte.
In quest'iniziativa è stato riversato il minor tasso possibile di scienza e conoscenza; discipline e culture come la geofisica, la sismologia, la sismicità storica, sono state semplicemente ignorate. Non si è tenuto alcun conto della zonazione simica, abbattendone i confini. Quasi seimila comuni, i tre quarti del territorio nazionale, trattati allo stesso modo nell'accesso al contributo, le stesse opportunità per il cittadino di Vibo Valentia e per quello di Sondrio, di Milano piuttosto che di Catania o Messina. Che logica ha tutto questo quando è ben nota la distanza tra le enormi risorse necessarie per far prevenzione e quelle modestissime disponibili? »


Per questo motivo voi sostenete che il sismabonus privilegi la quantità degli interventi a discapito di una prevenzione di qualità?
«La qualità di una strategia di prevenzione sta nel discernere, nel separare diversi livelli di rischio che si traducono in diverse esigenze di protezione della vita umana e del patrimonio storico, economico e ambientale. Le mappe di pericolosità sismica mostrano chiaramente quali sono le aree a maggior rischio, dove i terremoti sono più duri e più frequenti, e per i quali almeno da quarant'anni si invoca un permanente stato d'emergenza, colpevolmente ignorato. L'estensione data al sisma bonus toglie a questo monito ogni drammatica ragione. Alla qualità si è invece preferita la quantità con un'iniziativa che si attiva per alzata di mano di un cittadino (spesso virtuoso o anche solo opportunista), che riceverà un contributo di Stato consistente. Talmente consistente, fra l'altro, che le poste economiche in gioco sono semplicemente incredibili: 900/1000 miliardi, 130 miliardi di euro l'anno per i cinque anni previsti (calcolo Cresme/ISI).
"il contributo potrà essere richiesto anche dai cittadini che non risiedono in zone ad alto rischio", così veniva presentato entusiasticamente il sismabonus, affermazione che invece suona per l'iniziativa come un tragico disvalore. In che modo è quindi difendibile l'aver ascoltato solo il richiamo di raggiungere quantità di metri cubi di costruito piuttosto che interventi di qualità, puntualmente finalizzati a ridurre il rischio dove più elevato?»


E quanto al tema dei controlli?
«Come riportato nel nostro documento, abbiamo evidenziato diverse criticità a riguardo. Ne ricordo qui solo un paio: la prima sta nella eliminazione di tutti i controlli e di quelle verifiche che derivano da una specifica conoscenza del territorio. Poiché il singolo cittadino si rivolge direttamente allo Stato per avere il bonus, potrà succedere che "situazioni diversamente a rischio", magari in aree golenali o minacciate da una frana o da una valanga, potranno ottenere il contributo, così come potrà succedere che aree contrassegnate da un manifesto ed insanabile degrado vengano qua e là interessate dal sismabonus, impedendo di fatto una diversa qualità d'intervento.
Infine, indipendentemente dall'esito che avrà l'iniziativa, è a nostro avviso preoccupante che si accrediti l'idea che sia in corso qualcosa che approssima il Paese alla soluzione di uno dei suoi più grossi problemi. Non è così. Pochissimo o nulla può configurare quest'iniziativa nel campo della difesa dai terremoti, trattandosi di interventi sparsi qua e là su un territorio immenso, anche dove davvero non servono, senza una logica o un minimo di pianificazione. Solo un atto di delega (di resa) dello Stato nei confronti del cittadino a cui dare un po' di soldi per vedere cosa si può fare per difendersi dal terremoto».


Quale deve essere quindi, secondo voi, la giusta strategia per una efficace prevenzione simica?
«La vera prevenzione non si risolve in un gioco momentaneo di iniziative separate, accumulate in modo casuale, non legate da un filo logico che ne giustifichi l'esistenza, e senza riscontri. Si basa su statistiche e sofferenze, è scelta, è organizzazione. Consiste nell'applicazione graduale di interventi che fanno parte di un progetto più ampio, che si affina e perfeziona nel tempo e che è solidamente basato su sapere scientifico, conoscenza tecnica e sensibilità sociale. Presuppone che i risultati siano da attendersi nel medio e lungo periodo ma che le azioni siano pianificate oggi, tenendo conto di priorità e urgenze basate su dati scientifici e chiari. Presuppone che l'istituzione identificata come responsabile della prevenzione sismica disponga, oltre che di tecnici altamente esperti, di una struttura organizzativa in grado di garantire, indipendentemente dai governi in carica, la continuità nel tempo delle strategie programmate e di verificarne l'efficacia. La nostra proposta è perciò che con la massima urgenza venga messo a punto ed avviato concretamente un piano complessivo di provvedimenti da realizzarsi nel medio e lungo periodo e che, sulla base delle conoscenze disponibili, valuti priorità ed urgenze privilegiando le persone più esposte e più disagiate. Un piano affidato ad un soggetto pubblico responsabile della sua attuazione, dotato di adeguate competenze tecniche e amministrative, di funzionari e tecnici esperti in permanente dialogo con la comunità scientifica, con gli altri soggetti istituzionali e con la società civile. Un piano che sulla base dell'esperienza maturata in questi ultimi anni proceda anche nella direzione di una semplificazione della legislazione post-terremoto, non solo per ridurre il numero delle ordinanze, ma anche perché i diritti dei cittadini colpiti siano chiaramente riconosciuti, definiti e tutelati per ogni terremoto allo stesso modo indipendentemente dalla sua severità e dalla sua localizzazione».


Infine, Dott. De Marco, volendo essere pragmatici e per quanto possibile realistici, sarà mai concretamente possibile mettere in sicurezza dal punto di vista sismico l'intero edificato del nostro Paese o almeno contenerne drasticamente il rischio? E come pensate che il vostro documento possa essere un mezzo efficace in questo senso?
«Già quasi quarant'anni fa Giuseppe Grandori, indiscusso punto di riferimento nell'ingegneria sismica a livello internazionale, richiamò l'attenzione sulla condizione di emergenza presente nel Paese soprattutto in alcune aree, non molto difficili da individuare, per le quali non è possibile pensare di risolvere in un periodo breve ciò che si è accumulato in tanti anni di disattenzione. Per questo è necessario concentrare gli sforzi lì dove il rischio sismico è più elevato. In tal senso è indispensabile una scelta di governo del Paese che presupponga la determinazione e il coraggio per decidere dove cominciare a fare cosa.
Con questo documento noi abbiamo cercato solo di assumere una posizione responsabile rispetto a una materia alla quale abbiamo dedicato una lunga attività professionale. Il primo obiettivo è stato quello, come dicevo, di sensibilizzare le diverse culture che necessariamente debbono concorrere a creare le condizioni essenziali per migliorare la risposta al terremoto. Sul piano concreto tuttavia l'obiettivo essenziale non può che essere quello di raggiungere i livelli decisionali, di governo del Paese in grado di decidere in tempo di quiete, chiamando a raccolta scienza e tecnica, utilizzando tutta la vasta esperienza di settore che certamente è tra le eccellenze in campo internazionale, per il varo di una solida strategia di riduzione del rischio sismico nel Paese. Una strategia che per essere efficace non può rinunciare a nessuno dei suoi elementi essenziali, che può essere riassunta in un paio di righe: "dove, cosa, come fare, con quante risorse certe, in quanto tempo per raggiungere un obiettivo ben definito, sotto la responsabilità di chi". In conclusione, il documento da noi predisposto è un appello per ottenere ancora un ulteriore margine di consenso, e il riscontro che esso ha avuto al suo avvio è certamente incoraggiante: già 140 adesioni, contraddistinte da un elevato profilo scientifico e culturale assai articolato per discipline».

patrizia calzolari

Il documento "La prevenzione sismica in Italia: una sconfitta culturale, un impegno inderogabile" è consultabile sulle home page delle seguenti associazioni:
Per la sua sottoscrizione basta inviare un adesione nominativa all'indirizzo: nonquestaprevenzione@gmail.com